L’Agenzia delle Entrate, che abbia precedentemente emesso un avviso di accertamento, è solita iscrivere a ruolo tutte le somme pretese nei confronti di soggetti sottoposti ad una procedura concorsuale sul presupposto del pericolo per la riscossione, ovvero, in altri termini, del timore che la situazione di dissesto del debitore comprometta definitivamente le possibilità di incasso. Ma tale comportamento desta perplessità laddove sia intervenuta una sentenza di merito, ancorché non definitiva, che annulla o riduce la pretesa dell’Ufficio La Commissione Tributaria Provinciale di Modena, sez. 2, con la sentenza n. 169 del 6 marzo 2018, rilevando come in tali circostanze l’iscrizione a ruolo rischi di porsi in un rapporto di conflitto, difficilmente giustificabile, con la statuizione giudiziale, accoglie la tesi del contribuente e nega all’Ufficio tale facoltà. Il Collegio emiliano si sofferma poi, brevemente, su alcune interessanti questioni attinenti al rapporto tra procedura concorsuale e riscossione tributaria.
La fattispecie
Accogliendo la richiesta della contribuente, la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Modena, sez. 2, n. 169 del 6 marzo 2018 fa applicazione di alcuni principi che, ancorché perfino ovvi ad una lettura intuitiva, hanno tuttavia faticato ad emergere nella letteratura giudiziale e che vengono pressoché sistematicamente disattesi dagli Uffici finanziari.
Nello specifico, la fattispecie riguarda una società che, avviando una procedura concorsuale (nel caso di specie si trattava di un concordato preventivo), si trova a dovere esprimere nella proposta concorsuale la più opportuna considerazione di alcuni debiti tributari potenziali, relativi cioè a questioni non definitive, essendo stati in particolare impugnati dinnanzi agli organi di giustizia tributaria i numerosi atti accertativi su cui si fonda la pretesa. In queste circostanze, l’Ufficio normalmente iscrive a ruolo tutte le somme inizialmente pretese e non ancora poste in esazione, anche a prescindere dalle circostanze ricorrenti in concreto, in particolare ritenendo irrilevante l’esito dei giudizi medio tempore intercorsi, ancorché non definitivo, nonché gli eventuali contenuti della proposta concorsuale. Si tratta del c.d. ruolo “straordinario” che, proprio la denominazione, già qualifica come attinente a circostanze eccezionali riferibili al “fondato pericolo per la riscossione”. In buona sostanza, il timore di perdita della garanzia del credito erariale legittimerebbe l’Ufficio ad azioni di tutela, consistenti in questo caso nell’avvio del procedimento di riscossione di tutte le somme inizialmente pretese, ancorché provvisoriamente annullate dal Giudice, sul presupposto di un possibile diverso esito nei successivi gradi di giudizio. Secondo questa tesi, sarebbe proprio il deposito della domanda di ammissione alla procedura concorsuale a rendere evidente l’esistenza del rischio dell’irreparabile ed a costituire pertanto la ragione specificamente giustificante l’iscrizione a ruolo straordinario.
Tuttavia, la riscossione a ruolo ha cadenza fissate dalla legge, le quali che hanno tra l’altro anche il fine di graduare l’ammontare esigibile all’esito del giudizio. È infatti intuitivamente evidente che, nel caso in cui il Giudice naturale per legge dovesse ritenere illegittima la pretesa dell’Ufficio, quest’ultimo non potrà costringere il contribuente a corrispondere somme a quel punto ingiustamente pretese.
In definitiva, la sorte dei tributi accertati è provvisoriamente disciplinata dalla decisione giudiziaria, ancorché essa non sia ancora passata in giudicato, vigendo nell’ordinamento il principio secondo cui le sentenze, anche di primo grado, sono, di regola, immediatamente esecutive ex art. 282 cpc e, all’attualità, dagli artt. 67-bis, 68, cc. 2 e 3, e 69 D.Lgs. 546/1992 (così come riformato dal D.Lgs. 156/2015).
Posto che comunque non si può infatti negare che l’Ufficio possa, anzi debba, tutelare il credito erariale, quale esigenza prevale in queste circostanze, quella di cautela o quella di adeguamento alla decisione giudiziale?
La decisione della CTP di Modena
Il Giudice modenese ha seguito il solco della più recente giurisprudenza di Cassazione che, a sezioni unite, con la sentenza 758/2017, ha statuito che l’Atto impositivo, totalmente o parzialmente annullato da una sentenza, pur non in via definitiva, non può che perdere efficacia quale titolo idoneo a legittimare, in radice, l’inizio o la prosecuzione di una azione di riscossione provvisoria, ancorché avente natura cautelare. Tale ragionare valorizza il significato e la portata dei provvedimenti del giudice tributario, che vengono in toto equiparati agli analoghi atti emessi dal giudice ordinario o da quello amministrativo. Le Sezioni Unite hanno quindi espresso la conclusione che il ruolo straordinario non può “sopravvivere” all’accoglimento del ricorso, anche parziale, così che l’Ufficio deve sgravare il ruolo o, sempre in conformità al decisum, annullare conformemente la cartella emessa. L’autorevole interpretazione indica quindi che i responsi delle Commissioni tributarie si manifestano in definitiva come sostitutivi della dichiarazione del contribuente e dell’accertamento dell’Ufficio, con la conseguenza che quest’ultimo, rivelandosi annullato (ancorché non definitivamente), finisce con l’essere carente del presupposto che legittima qualsivoglia iniziativa di riscossione ed adozione di misura cautelare. E questa affermazione trova conforto nell’opinione di altrettanto autorevole dottrina, che ritiene connaturato al ruolo dell’Amministrazione l’obbligo di dare esecuzione alle sentenze del giudice tributario, trattandosi di un dovere di natura istituzionale (Cicala, Esecutività delle sentenze favorevoli al contribuente, in Fondazione Nazionale dei Commercialisti).
Ma il Giudice modenese coglie anche un altro aspetto, forse ancora più interessante, della questione, che può essere vista sotto il profilo del doveroso rispetto dei criteri della equità e della buona fede, a cui è tenuto anche il soggetto pubblico, anche in applicazione del principio generale del “neminem laedere”. In altri termini, se l’Ufficio non deve ledere inutilmente il contribuente, allora dovrà fare le scelte operative che, pur tutelanti per il credito erariale, risultino meno dannose per questi.
La questione riguarda le conseguenze dell’iscrizione a ruolo, in primo luogo la pretesa per significativi compensi della riscossione (allora il 3% delle somme poste in riscossione nel caso di pagamento entro 60 giorni, 6% oltre tale termine). Una pretesa, quindi, che intanto appare spropositata rispetto alle funzioni svolte in tali circostanze dall’Agente della Riscossione, il quale si trova ad essere impedito nelle sue funzioni principali dalla disciplina della legge fallimentare e delle altre norme in materia di procedure concorsuali, in primis gli artt. da 160 a 186 bis del Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267. Laddove la società si trovi, come nel caso di specie, in concordato preventivo o in altra procedura a tali fini simile, ebbene non potrà che effettuare i pagamenti secondo l’ordine e con le tempistiche previsti per tale contesto. Non c’è quindi spazio per una vera e propria attività di riscossione, da cui, nella sostanza, l’Agente è escluso per legge, essendo le funzioni di ordinazione dei pagamenti svolte da altri soggetti (Cass. n. 6646/13).
A maggior ragione è illegittima la pretesa di incremento dei compensi per la riscossione (dal 3% al 6%), dove l’aggravio sarebbe, a questo punto, l’effetto automatico ed inevitabile della disciplina della procedura concorsuale prevista dalla legge. Un tale esito sarebbe infatti un vero e proprio cortocircuito interpretativo dove il soggetto che accede ad una procedura concorsuale dovrebbe, inesorabilmente, sopportare maggiori oneri di riscossione.
Pertanto, tenuto conto di tali conseguenze negative per il contribuente, l’Ufficio ha il dovere di valutare la disponibilità di altri strumenti per tutelare il credito erariale?
Ebbene, la legge non impedisce all’Ufficio di intervenire direttamente presso la procedura concorsuale per fare valere il proprio credito il quale, del resto, già emerge per intero dagli avvisi di accertamento e, per l’effetto, è già noto al contribuente ed alla procedura concorsuale (Cass sent. 6646/2013; SS.UU. 4126/2012; 24963/2010; SS.UU. 5165/2009).
La questione, peraltro, è ormai pacificamente accettata nella più comune prassi fallimentare.
Si faccia ad esempio riferimento alle linee guida del Tribunale di Roma (http://www.tribunale.roma.it/documentazione/D_8876.pdf), che chiariscono che “l’Amministrazione finanziaria può proporre domanda di ammissione al passivo anche senza avvalersi dell’agente per la riscossione, ma operando direttamente, anche senza la previa iscrizione a ruolo. La Corte di Cassazione ha, infatti, precisato che la domanda di ammissione al passivo di un fallimento avente ad oggetto un credito di natura tributaria, presentata dall’Amministrazione finanziaria, non presuppone necessariamente, ai fini del buon esito della stessa, la precedente iscrizione a ruolo del credito azionato, né la notifica della cartella di pagamento e l’allegazione all’istanza della documentazione comprovante l’avvenuto espletamento delle suddette incombenze, potendo viceversa essere basata anche su titoli di diverso tenore quali, ad esempio, titoli erariali, fogli prenotati a ruolo, sentenze tributarie di rigetto dei ricorsi del contribuente, ecc. (Cass. sez. unite 4126/12), avvisi di accertamento (anche 6646/2013, su Ius Explorer.it)”.
Del resto, anche in dottrina la questione appare indubitabile: “non vi è perfetta equipollenza tra la presentazione dell’istanza a cura dell’Agenzia delle Entrate ovvero dell’Agente. Innanzitutto, perché nel primo caso non è dovuto l’aggio” (Carinci, L’ammissione al passivo dei crediti tributari, in Paparella (a cura di), Il diritto tributario delle procedure concorsuali e delle imprese in crisi, 2013, p. 562).
Non è quindi sfuggito questo aspetto della vicenda al Giudice modenese che, appunto ricorda per inciso che resta “ferma la considerazione che l’emissione del ruolo straordinario e delle cartelle non sono necessari né per fare valore la pretesa nella procedura concordataria, se sussiste, come nella fattispecie, altro titolo, né ai fini della cautela, stante l’apertura di una procedura vigilata”.
In conclusione, l’Ufficio dispone di mezzi diversi dall’iscrizione a ruolo, meno invasivi, a cui deve necessariamente fare alternativo ricorso per la giusta tutela del credito erariale per non ledere inutilmente in contribuente che ha certo tanti doveri, ma anche qualche diritto.