La Commissione Tributaria Provinciale di Vibo Valentia accoglie la tesi della difesa presentata da Elexia
Abstract: Nell’esaminare la fattispecie relativa a una società tedesca a cui l’Agenzia delle Entrate aveva contestato, con strumenti presuntivi, l’esistenza di una stabile organizzazione in Italia attribuendo alla medesima somme imponibili non costituite – come vorrebbe la corretta interpretazione dell’ordinamento – da redditi correttamente determinati, ma da sommarie e apodittiche valutazioni di asseriti componenti positivi di reddito, la Commissione Tributaria Provinciale di Vibo Valentia ha rigettato la tesi erariale e accolto quella della difesa, alla quale ha attivamente partecipato Elexia.
In particolare, la Commissione ha escluso che nella fattispecie potesse ravvisarsi “la presenza di una struttura dotata di risorse materiali e umane”, presupposto invece essenziale della nozione di stabile organizzazione nella sua accezione materiale.
Si tratta, quindi, di uno dei non molto frequenti precedenti giurisprudenziali sulla nozione di predetto istituto della stabile organizzazione, già rientrante nella esperienza di Elexia in ragione della difesa in due ulteriori casi giurisdizionali e di una approfondita disamina dell’argomento, pubblicata da Egea.
Com’è noto, secondo una impostazione generalmente condivisa da tutti i Paesi aderenti all’OCSE e anche da buona parte dei Paesi non aderenti alla organizzazione parigina, la nozione di stabile organizzazione ha la funzione di legittimare lo Stato che la ospita (c.d. Paese della fonte del reddito) ad applicare le proprie imposte sui redditi prodotti dalla medesima.
In assenza di stabile organizzazione sul proprio territorio, lo Stato della fonte non ha alcuna legittimazione a pretendere l’imposizione sul soggetto non residente, essendo viceversa la potestà impositiva riservata al Paese in cui tale soggetto è residente (c.d. Paese della residenza).
Tali concetti sono ormai pacifico portato del Modello di Convenzione contro le Doppie Imposizioni sul Reddito redatta dall’OCSE (c.d. Modello OCSE).
Il Modello OCSE costituisce uno degli esempi più noti di “soft law” internazionale ma, proprio in quanto “soft law”, non alcuna efficacia diretta nei singoli ordinamenti nazionali.
Il successo del Modello di Convenzione OCSE è tuttavia stato tale che i suoi contenuti sono stati recepiti, in tutto o in parte, in una miriade di Trattati contro la Doppia Imposizione, in sostanza trattati bilaterali tra Stati che, a mezzo dei medesimi, si vincolano reciprocamente a una data regola di condotta, i quali, una volta adottati dai singoli ordinamenti dei Paesi interessati, costituiscono veri e propri atti aventi valore di legge.
Conformemente a quanto sopra accennato, l’art. 7 del Modello OCSE stabilisce che un’impresa di un certo Paese (per esempio la Germania) è tassabile in un altro Paese (l’Italia) solo se ivi dispone di una stabile organizzazione. La Convenzione con la Germania è sul punto conforme.
Secondo il Modello OCSE, la nozione di stabile organizzazione non è lasciata a definizioni estemporanee, ma corrisponde a un preciso paradigma, indicato dall’art. 5 del medesimo. Specularmente, analoghe se non identiche definizioni si ritrovano nei Trattati bilaterali a esso conformi, tra cui quello tra Italia e Germania.
In definitiva, il Modello OCSE, attraverso il principio dell’art. 7 e la definizione di stabile organizzazione fissata dall’art. 5, persegue l’obiettivo di ripartire la potestà impositiva tra due Paesi (nel nostro caso, Italia e Germania), con lo scopo ultimo di evitare la doppia imposizione del medesimo reddito.
Ai fini IVA, invece, la finalità della medesima nozione (ancorché talora indicata con la denominazione di centro di attività stabile) è quella di stabilire dove debba essere tassata l’integralità della prestazione (C-210/04, del 23 marzo 2006, causa FCE Bank, punto 39; C. Cass. n. 7689/2002), così che la corrispondenza nominalistica tra i due concetti nasconde in realtà notevoli insidie interpretative.
Il concetto di stabile organizzazione, ai fini Iva, si manifesta quindi attraverso l’identificazione di (i) un grado di sufficiente permanenza, (ii) una organizzazione materiale e (iii) un fattore umano, tale da assumere piena autonomia rispetto alla c.d. “casa madre”, ossia la sede principale dell’impresa (Cass. n. 10925/2002).
Il Regolamento 282/2011/UE13, esprime tali concetti attraverso l’art. 11, così che può definirsi stabile “qualsiasi organizzazione, diversa dalla sede dell’attività economica di cui all’articolo 10 del presente regolamento, caratterizzata da un grado sufficiente di permanenza e una struttura idonea in termini di mezzi umani e tecnici atti a consentirle di ricevere e di utilizzare i servizi che le sono forniti per le esigenze proprie di detta organizzazione”, senza che possa incidere il “(…) fatto di disporre di un numero di identificazione IVA” che “(…) non è di per sé sufficiente per ritenere che un soggetto passivo abbia una stabile organizzazione”.
Si tratta pertanto, come si può agevolmente comprendere, di una nozione che si presta a molteplici sfumature e distinguo, così che nella pratica la medesima è spesso fonte di contrasti tra contribuente e Amministrazione Finanziaria.
Per l’effetto, l’atteggiamento delle Autorità Fiscali in tale materia è talora quello di ricorrere a nozioni di stabile organizzazione non conformi al contenuto dei Trattati, magari adattate alle circostanze del caso per una maggiore “persuasività” della tesi erariale, sovente richiamando istituti tipici del solo diritto interno, quando invece la nozione in oggetto è tipicamente di fonte internazionalistica e richiede quindi una interpretazione autonoma.
Elexia ha difeso, unitamente ai colleghi Avv.to Salvatore Taverna, del Foro di Roma, e Dott. Dott. Josef Vieider, Dottore Commercialista dell’Ordine di Bolzano, una società tedesca a cui era stata imputata l’esistenza di una stabile organizzazione in Italia.
La Commissione Tributaria Provinciale di Vibo Valentia, richiamandosi all’art. 5 del Modello OCSE, con le sentenze nn. 1410/2017 e 1411/2017 del 15.09.2017, ha rigettato la tesi erariale e accolto la tesi della difesa.
In particolare, la Commissione ha avuto modo di precisare che “la nozione di stabile organizzazione di una società straniera in Italia va desunta, come costantemente affermato dalla Suprema Corte (ex multis, Cass. n.17206 del 2006 e n.3889 del 2008; Cass. n.9166 del 2011), all’art.5 del modello di convenzione OCSE contro la doppia imposizione e dal suo commentario, integrata con i requisiti prescritti dall’art.9 della sesta direttiva CEE n.77/388 del Consiglio del 17 maggio 1977 per l’individuazione di un centro di attività stabile, il quale, così come definito dalla giurisprudenza comunitaria, consiste in una struttura dotata di risorse materiali e umane, e può essere costituito anche da un’entità dotata di personalità giuridica, alla quale la società straniera abbia affidato anche di fatto la cura di affari (con l’esclusione delle attività di carattere meramente preparatorio o ausiliario, quali la prestazione di consulenze o la fornitura di “know how”)”.
Aggiungendo poi che “a prova dello svolgimento di tale attività da parte del soggetto nazionale può essere ricavata, oltre che dagli elementi indicati dall’art.5 del modello di convenzione OCSE, anche da elementi indiziari, quali l’identità delle persone fisiche che agiscono per l’impresa straniera e per quella nazionale, ovvero la partecipazione a trattative o alla stipulazione di contratti, indipendentemente dal conferimento di poteri di rappresentanza”, la Commissione ha escluso, nella fattispecie al Suo esame, che si potesse riscontrare “proprio la presenza di una struttura dotata di risorse materiali e umane a prescindere da elementi formali quali il domicilio fiscale e la sede amministrativa in Italia”.
In particolare, emergeva che la società tedesca aveva in Italia un solo dipendente, così che risultava difficile immaginare un’attività che andasse, rispetto a quella svolta dalla società nel suo insieme, oltre quella preparatoria e ausiliaria, tipologia di impegno che, notoriamente, è esclusa dalla nozione di stabile organizzazione.
La Commissione, avendo accolto il principale motivo di ricorso, non ha avuto modo di esaminare quello formulato in subordine, in relazione alle modalità di determinazione del reddito dell’asserita stabile organizzazione. Più precisamente, ciò che è consentito tassare allo Stato della fonte è soltanto il reddito proprio della stabile organizzazione, senza alcuna escursione sui redditi riferibili alla “casa madre (art. 7, Modello OCSE).
In nessun caso, pertanto, lo Stato della fonte può pretendere di tassare dei ricavi, adducendo ragioni di diritto interno per negare vuoi l’esistenza, vuoi la deducibilità dei costi.
Senza poi volere ulteriormente aggiungere che l’ipotesi di inesistenza di costi è già di per sé una negazione dell’esistenza della stabile organizzazione, mancando per l’effetto gli indici di materialità e stabilità che costituiscono il nocciolo essenziale della nozione di stabile organizzazione (CTP Verona, sent. 23/09/05 del 28.04.2005; Trib.Pen.Verona, sent. 869/05 del 10.05.2005; CTP Verona, sent. 78/4/05 del 17.06.2005).