La Corte di cassazione, con la sentenza n. 27200, pubblicata in data 23 ottobre 2019, si è nuovamente espressa sul tema dell’istanza di fallimento depositata dal pubblico ministero nel corso di una procedura di concordato preventivo, prima che questa sia definita dal tribunale con provvedimento di inammissibilità o improcedibilità, confermando l’orientamento ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità (su tutte, si veda Cass. 7 giugno 2017, n. 14156).
Nel caso in esame il tribunale di merito dichiarava il fallimento di una società successivamente alla rinuncia, da parte di quest’ultima, alla domanda di concordato preventivo, accogliendo la richiesta che il pubblico ministero aveva presentato in occasione dell’udienza convocata ai sensi dell’art. 162, comma 2, l. fall. per la dichiarazione di inammissibilità della procedura.
Essenzialmente, le doglianze della società dichiarata fallita vertevano sul profilo della legittimazione del pubblico ministero a domandare il fallimento in pendenza di una procedura di concordato preventivo, prima della sua formale estinzione, e sul profilo della mancata concessione alla debitrice di un termine difensivo per contestare la richiesta.
Ebbene, il Giudice di legittimità, dopo aver ripercorso brevemente le ipotesi al verificarsi delle quali il tribunale, in pendenza della procedura di concordato preventivo, possa dichiarare il fallimento su istanza del pubblico ministero o di uno dei creditori, afferma (e conferma) che la disposizione contenuta nell’art. 162, comma 2, l. fall. deve essere interpretata nel senso che la sentenza che accerta lo stato di insolvenza della società possa essere pronunciata solo successivamente alla pronuncia che dichiara inammissibile la precedente domanda di concordato e non nel senso che il pubblico ministero non possa chiedere il fallimento della società sino a che sia formalmente pendente il procedimento di concordato preventivo.
La Corte di cassazione, dunque, chiarisce che il provvedimento di inammissibilità o di improcedibilità della domanda di concordato, con la conseguente definizione della procedura che ne è nata, sia la condizione imprescindibile per la declaratoria di fallimento della società in stato di insolvenza e non per la presentazione, da parte del pubblico ministero, dell’istanza di fallimento.
La richiesta di fallimento della società presentata dai soggetti legittimati, in altre parole, non incontra alcun ostacolo nella formale pendenza della procedura di concordato preventivo e nell’assenza di una pronuncia di rito ad essa relativa, poiché le scansioni e le vicende del procedimento concordatario rilevano solo ai fini della declaratoria dello stato di insolvenza.
Anzi, la Cassazione, condivisibilmente, ribadisce che il pubblico ministero (pienamente legittimato a partecipare al procedimento concordatario) conserva il potere di domandare il fallimento della società debitrice solamente sino a quando non venga dichiarata l’improcedibilità della procedura pendente.
Successivamente a tale momento, trova applicazione la disciplina generale contenuta nell’art. 7 l. fall., il quale prevede la facoltà del pubblico ministero di attivarsi, chiedendo il fallimento dell’impresa, a seguito della conoscenza della notizia di insolvenza nell’ambito di un procedimento penale ovvero della notizia ricevuta dal giudice civile.