La Corte di Cassazione si è recentemente pronunciata in materia di concordato preventivo, con particolare attenzione sul tema della risoluzione, disciplinata dall’art. 186 l. fall., ribadendo l’orientamento interpretativo ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità.
Come noto, l’art. 186 l. fall., così come riformato nel 2007, attribuisce a ciascun creditore la facoltà di domandare, in caso di inadempimento del debitore, la risoluzione del concordato preventivo, la quale viene disposta dal tribunale a patto che l’inadempimento non abbia scarsa importanza.
Tale disposizione si colloca in più ampio assetto normativo, dal quale emerge chiaramente l’intento del legislatore di rendere maggiormente marcata la natura privatistica del concordato preventivo, con la conseguente (e tendenziale) applicazione estensiva dei principi vigenti in materia contrattuale.
Tuttavia, secondo la Corte, le peculiarità del concordato preventivo impediscono una traslazione tout court delle categorie tipiche del vizio funzionale del contratto.
Precisamente, la Cassazione, con la sentenza n. 20652, pubblicata in data 31 luglio 2019, ridimensionando il valore dell’utilizzo (da parte del legislatore) della terminologia propria della disciplina della risoluzione dei contratti, ha escluso che il concordato preventivo possa intendersi (e qualificarsi) come un contratto a prestazioni corrispettive, essendo piuttosto «un istituto sui generis caratterizzato da una natura negoziale contemperata da una disciplina che persegue interessi pubblicistici», cosicché la normativa di diritto comune non possa dirsi applicabile sic et simpliciter al concordato.
Argomentando da questo principio, il Giudice di legittimità ha affermato che la risoluzione del concordato preventivo può essere disposta dal tribunale solamente laddove l’inadempimento del debitore, ai sensi dell’art. 186 l. fall. non abbia scarsa importanza, non rilevando a nulla l’imputabilità dell’inadempimento, che invece costituisce un aspetto essenziale nella disciplina del diritto comune (art. 1218 c.c.).
Dunque, ciò che risulta determinante nella procedura concorsuale in parola, ai fini di una sua risoluzione, è l’oggettiva impossibilità di realizzare la promessa di soddisfare i creditori, dovendosi valutare unicamente la sua dimensione e la sua consistenza, a prescindere dall’eventuale ascrivibilità della stessa alla colpa del ricorrente.
Peraltro, la Corte di cassazione, nell’iter argomentativo, ha preso posizione sull’eventuale indicazione nel piano delle percentuali di soddisfacimento dei creditori, statuendo che, pur non essendo vincolanti, possono costituire un punto di riferimento per valutare la rilevanza dell’inadempimento del debitore.
Conclusivamente, si può affermare che ciò che assume importanza nell’esecuzione del concordato preventivo sia l’inadempimento in sé ed il mancato raggiungimento del risultato satisfattivo cui il ricorrente mira, indipendentemente dalle ragioni per cui si verifichi l’insuccesso.