Il Consiglio dei Ministri, in data 10 gennaio 2019, ha approvato il testo definitivo del c.d. Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, decreto legislativo attuativo della l. 19 ottobre 2017, n. 155, che riforma in modo significativo la disciplina del fallimento – il quale muta anche denominazione, divenendo «liquidazione giudiziale» – e, più in generale, di tutte le procedure concorsuali. Alcuni articoli del decreto delegato – che sembrerebbero destinati ad entrare in vigore prima di quelli che innovano il diritto fallimentare –, inoltre, novellano il libro quinto del codice civile, quello dedicato al lavoro e alle società.
Con riferimento a questi ultimi, merita particolare attenzione l’art. 377, comma 2, Codice della crisi, il quale, integrando l’attuale art. 2486 c.c., tipizza un criterio di quantificazione del danno sociale nell’ipotesi di violazione da parte degli amministratori dell’obbligo di conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale al verificarsi di una causa di scioglimento della società. Precisamente, la novella prescrive che il danno risarcibile «si presume pari alla differenza tra il patrimonio netto alla data dell’apertura della procedura di liquidazione giudiziale e il patrimonio netto determinato alla data in cui si è verificata una causa di scioglimento di cui all’articolo 2484».
Come si può agevolmente notare, il suddetto criterio opererà semplicemente in via presuntiva; inoltre, essendo qualificabile come presunzione semplice, le parti avranno facoltà di prova contraria.
Il principio testé esposto, peraltro, pur in assenza di un’espressa previsione normativa, era già utilizzato nella prassi. La stessa giurisprudenza di legittimità aveva chiarito che «per liquidare il danno derivante da una gestione della società condotta in spregio dell’obbligo […] dell’attuale 2486 c.c., il giudice può ricorrere in via equitativa […] al criterio presuntivo della differenza dei netti patrimoniali» (in tal senso, per ultima, Cass., 20 aprile 2017, n. 9983).
Dunque, il legislatore della riforma ha innovato il dettato normativo pur attenendosi ad un criterio che poteva già dirsi generalmente accolto dagli interpreti.
L’art. 377, comma 2, Codice della crisi, inoltre, consta di una seconda parte – che integra sempre l’art. 2486 c.c. –, nella quale si statuisce che, nel caso in cui manchino le scritture contabili o i netti patrimoniali non possano essere determinati a causa dell’irregolarità delle stesse, il danno debba essere liquidato in misura pari alla differenza tra attivo e passivo accertati nella liquidazione giudiziale.
L’introduzione di una presunzione iuris et de iure esclude radicalmente, nel caso in cui non sia possibile ricostruire i valori di patrimonio netto della società a causa della mancanza o della irregolare tenuta della contabilità, la facoltà di provare che il danno derivante alla società dalla condotta degli amministratori sia inferiore alla differenza tra attività e passività.