La Corte di Cassazione (ordinanza n. 27669/2021 del 12.10.2021) ha ulteriormente confermato la tesi sostenuta da Elexia Avvocati & Commercialisti in materia di tassazione, ai fini del registro, dei provvedimenti di omologa del concordato (nel caso di specie, fallimentare) con terzo assuntore.
Nel caso di specie, la vicenda processuale muove dalla c.d. tesi “nominalistica”, la quale condurrebbe in definitiva alla tassazione a tassa fissa del provvedimento di omologa del concordato (fallimentare) con terzo assuntore, ipotesi interpretativa tuttavia abbandonata nelle più recenti decisioni della Suprema Corte.
Rigettata una tale esegesi, la Cassazione sposta la sua attenzione sulla connessione tra beni ceduti al terzo assuntore ed accollo dei debiti del fallimento, rispetto alla quale “deve trovare applicazione la diversa disposizione di cui al d.p.r. n. 131 del 1986, art. 21, c. 3, alla cui stregua (……) «non sono soggetti ad imposta gli accolli di debiti ed oneri collegati e contestuali ad altre disposizioni». (….) Al decreto di omologa del concordato fallimentare, con intervento di terzo assuntore, va, pertanto, applicato il criterio di tassazione correlato all’art. 8, lett. a), della tariffa, parte prima, allegata al d.p.r. n. 131 del 1986, con l’applicazione, così, dell’imposta di registro in misura proporzionale sul valore dei beni e dei diritti fallimentari trasferiti, e con esclusione, dalla base imponibile, del contestuale accollo dei debiti collegato a detta cessione dei beni fallimentari (Cass. 11925 del 06/05/2021; n. 3286/2018)”. Si tratta, in buona sostanza, dell’indirizzo interpretativo già commentato precedentemente in senso conforme in questa stessa sede.
Sarebbero quindi maturi i tempi affinché l’Agenzia delle Entrate riconsiderasse la propria posizione, esposta nella Circolare 21/06/2012 n. 27/E, par. 1.2, secondo la quale si applicherebbe l’art. 21, c. 2, TUR, stando al quale “se le disposizioni contenute nell’atto derivano necessariamente, per la loro intrinseca natura, le une dalle altre, l’imposta si applica come se l’atto contenesse la sola disposizione che dà luogo alla imposizione più onerosa”.
Dopo due provvedimenti della Suprema Corte, oltretutto sotto forma di ordinanza, la posizione esposta nel detto documento di prassi non è più legittimamente sostenibile.
È quindi ragionevole immaginare che l’eventuale insistenza da parte degli Uffici Finanziaria sulla detta tesi possa essere sanzionata con una adeguata condanna alle spese nel corso dei procedimenti dinnanzi alla Corti di merito.