Con sentenza n. 1973/2020, la CTP di Milano aveva già ampiamente illustrato le ragioni per le quali l’affitto di un’azienda decotta, in procinto di accedere alla procedura del concordato preventivo, non può essere sic et simpliciter riqualificato in cessione di azienda.
Rispetto ad un’azienda in dissesto, infatti, l’affitto è una fase-ponte necessaria, che, garantendo nel contempo la continuità operativa e così evitando la dispersione dell’avviamento, consente di giungere al momento in cui, attraverso l’omologa del concordato (o, comunque, attraverso altro strumento che conferisce stabilità alla procedura concorsuale), la medesima è esdebitata e può pertanto formare oggetto di acquisto in condizioni di razionalità e controllo del rischio.
Si tratta di circostanze evidenti e razionalmente ricostruibili.
Ciò nonostante, l’AdE ha ritenuto di riqualificare l’affitto in acquisto e, pertanto, disconosce la detrazione dell’IVA applicata sui canoni della fase transitoria.
I primi Giudici meneghini avevano già avuto modo di chiarire che la sequenza negoziale, prima affitto e poi acquisto, le cui fasi sono materialmente e logicamente distinguibili, non può essere ridotta ad un solo atto, la compravendita, posto che quest’ultima è, ovviamente, sempre subordinata alla condizione del buon esito della procedura concorsuale.
Nella fase di appello, la CTR Lombardia, sent. 3018/2021, ha ulteriormente ribadito che in tali circostanze, pur essendo prevista fin dall’origine, la compravendita dell’azienda resta totalmente incerta sia nell’an che nel quando, dato che non si può conoscere, al momento della conclusione degli accordi, nè l’esito della procedura concorsuale, che in ipotesi potrebbe essere negativo, nè il momento storico in cui vi sarà certezza sul punto.
Nel caso di specie, prosegue quindi il secondo Giudice, l’affitto ha avuto l’evidente scopo di evitare licenziamenti, fermo macchine ed interruzione di ogni attività imprenditoriale, eventi che avrebbero anche comportato la perdita della clientela e, con questa, dell’avviamento. La sequenza contrattuale, oltre che agevolmente distinguibile, era pertanto ampiamente giustificata.
Stante la fattispecie, di agevole lettura e peraltro priva di rischi di evasione, è francamente difficile comprendere l’accanimento dell’AdE su di una tesi azzardata ed irrazionale. Dopo due gradi di giudizio e la condanna dell’AdE alle spese, emerge infatti solo ciò che era del tutto ovvio fin dall’origine. Ed ancora l’AdE potrà valutare se accedere al grado di legittimità.
Ciò detto, nell’ambito della riforma del processo tributario, non varrebbe la pena che la tesi erariale incontrasse un vaglio critico preventivo, tramite un organo realmente terzo rispetto al team responsabile dell’emissione dell’atto? Noi difensori amiamo senza dubbio portare avanti le liti, ma ciò detto, se la tesi erariale è completamente infondata, quanto è utile al Paese che la medesima impegni perfino gli organi di giustizia? Francamente, da cittadini preferiremmo che lo si evitasse.
La società contribuente è stata difesa dal Dott. Avv.to Paolo Franzoni, di Elexia avvocati & commercialisti.