Il Consiglio dei Ministri, in data 13 febbraio 2020, ha approvato, in esame preliminare, il decreto legislativo che introduce disposizioni integrative e correttive al Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza.
Il testo del decreto correttivo non è ancora stato pubblicato, ma sono stati resi noti, mediante un comunicato stampa, gli ambiti di intervento del Governo.
Anzitutto, il Governo precisa che, con il provvedimento in parola, verrà circostanziata la nozione di crisi, la quale, sostituendo alla generica espressione «difficoltà economico-finanziaria» quella di «squilibrio economico-finanziario», sarà resa anche più conforme al testo dell’art. 13 del Codice della crisi, che, trattando di indicatori della crisi, attualmente si riferisce alle varie situazioni di squilibrio.
Lo stesso concetto di «indice della crisi», elemento determinante per l’insorgenza in capo agli organi di controllo societari dell’obbligo di segnalazione agli Organismi di composizione della crisi, sarà modificato, con l’intento di renderlo maggiormente descrittivo di una situazione di insolvenza reversibile piuttosto che di una situazione di presumibile insolvenza futura.
Peraltro, proprio per quanto concerne gli obblighi di segnalazione, onde voler favorire un avvio graduale del sistema delle segnalazioni all’O.c.r.i. ed evitare, sostanzialmente, il collasso del sistema, sarà previsto un differimento della loro operatività al 15 febbraio 2021 per tutte le imprese che, negli ultimi due esercizi, non abbiano superato la soglia di quattro milioni di euro per i ricavi delle vendite e per le attività dello stato patrimoniale e, congiuntamente, non abbiano impiegato una media di più di venti dipendenti nel corso di ogni singolo esercizio.
Tuttavia, la novità che, se sarà confermato il testo della bozza di decreto correttivo pubblicata alla fine del mese di dicembre dell’anno 2019, sarà più significativa in ordine alle procedure concorsuali attualmente previste dal sistema normativo è quella sulla facoltà, per il tribunale, di omologare il concordato preventivo – e non solo gli accordi di ristrutturazione dei debiti, come previsto attualmente dall’art. 48, comma 5, d.lgs. n. 14 del 2019 – anche in «mancanza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie».
Dunque, con ogni probabilità, potrebbe essere rimosso quello che, in numerose situazioni, è stato l’ostacolo che ha impedito, anche a causa delle lungaggini decisionali di Agenzia delle Entrate e Agenzia delle Entrate Riscossione, l’omologazione di un piano di concordato.
I due presupposti affinché la «mancata adesione» sia resa ininfluente ai fini dell’omologabilità del concordato saranno la decisività della stessa ai fini del raggiungimento delle percentuali previste per l’approvazione del concordato e la convenienza della proposta (per l’amministrazione finanziaria e per gli enti di previdenza) rispetto all’alternativa liquidatoria.
Fermo restando che andrà interpretato il concetto di «mancata adesione» al fine di definire se si riferisca alla sola astensione oppure anche al voto negativo – la soluzione più ragionevole, anche alla luce del tenore letterale della disposizione, sembrerebbe comunque essere la prima –, l’eventuale novella andrebbe accolta con favore, poiché rimuoverebbe quello che sino ad oggi è stato, in numerosi casi, l’unico impedimento all’omologazione del concordato (seppur con proposte più convenienti rispetto alla mera liquidazione del patrimonio aziendale) ed eliminerebbe una contraddizione – che difficilmente supererebbe un vaglio di costituzionalità, per il contrasto con l’art. 3 Cost. – del tessuto del Codice, che già prevede la stessa norma per il concordato minore.