L’Agenzia delle Entrate contesta quasi sistematicamente la deduzione delle perdite su crediti in tutti i casi in cui il debitore non sia stato assoggettato a procedura concorsuale. Ma come deve comportarsi il contribuente che non riesca ad incassare il credito e non ritenga opportuno, per evidenti ragioni di economicità, intraprendere azioni esecutive, appunto defatiganti e dispendiose? La CTR di Bologna, rigettando la tesi erariale, conferma che una valutazione di opportunità, purché ragionevole e documentata, può costituire il fondamento della deduzione. La CTR poi, accogliendo la tesi della difesa, coglie il valore interpretativo della novella della legge di stabilità 2014, la quale ha attribuito valore preminente ai principi contabili, così che anche la cessione pro-soluto del credito, in un contesto di trasparenza e ponderazione, può costituire idonea giustificazione della cancellazione del credito e della rilevazione di una perdita fiscalmente deducibile.
La fattispecie.
Accogliendo la richiesta della contribuente, la Commissione Tributaria Regionale di Bologna, sez. 1, sent. n. 1157/2018 22.03-20.04.2018, fa applicazione di alcuni principi che, ancorché evidenti nell’ottica del “buon padre di famiglia”, vengono pressoché sistematicamente disattesi dagli Uffici finanziari.
La fattispecie è quella di una società che, a fronte di un credito nei confronti di un dato debitore, a sua volta una società, effettua una serie di valutazioni in ordine alla recuperabilità delle somme in questione.
Rilevato l’ormai prolungato stato di liquidazione del debitore, fatta un’analisi degli ultimi bilanci, da cui era desumibile l’abbondante incapienza dell’attivo rispetto al passivo, effettuati gli ulteriori opportuni approfondimenti, accertata in definitiva la modestia, se non l’assoluta inesistenza, di concrete possibilità di recupero della somma, in tutto o in parte, il creditore si risolveva nel cedere il credito con la clausola “pro-soluto” ad un terzo per un corrispettivo molto ridotto rispetto al valore nominale del credito.
Per l’effetto, la contribuente contabilizzava nel bilancio 2010 e deduceva ai fini IRES una perdita su crediti.
Si riteneva un tale comportamento giustificato, innanzitutto, (i) in ragione della valutazione di inopportunità di qualsiasi azione giudiziale, che avrebbe finito per risolversi in un aggravio economico per il creditore, senza alcun risultato in concreto, e, (ii), in secondo luogo, in relazione all’ottenuta massimizzazione dell’incasso, dovendosi ragionevolmente pensare che la cessione pro-soluto avrebbe offerto un risultato migliore dell’iniziativa legale.
A conferma ex post della correttezza della scelta fatta, nel 2012 la società debitrice sarebbe stata cancellata dal registro delle imprese, senza alcun riparto a favore dei creditori. Elemento fattuale successivo e come tale certamente di per sé inidoneo a giustificare la deduzione fatta nel 2010, ma quanto meno supporto, ad abundantiam, di ragioni già autonomamente idonee.
I contenuti della lite.
L’Ufficio, contestava la deduzione, ritenendo carenti i requisiti di certezza e precisione della perdita previsti dall’art. 101, c. 5 Tuir.
Al riguardo, la difesa evidenziava che il requisito della certezza e della precisione coinvolge concetti giuridici a contenuto indeterminato, i cui parametri di individuazione non sono stabiliti a priori dal legislatore. Si tratta quindi di una ricerca che deve essere svolta volta per volta, nell’esame delle singole fattispecie, facendo riferimento a dati in concreto tali da consentire il superamento di una soglia valutativa da determinarsi secondo un criterio di ragionevolezza. In un tale contesto, non è quindi legittimo il richiamo a parametri unilateralmente prefissati, come avrebbe invece preteso la tesi avversa.
In altri termini, i requisiti della certezza e precisione non posso essere, arbitrariamente, limitati alla sola richiesta di accertamento dell’insolvenza del debitore o, comunque, all’esperimento di ogni possibile tentativo di recupero del credito, vincolando quindi il contribuente a comportamenti magari inidonei nel caso in concreto.
La questione non è peraltro sempre stata così posta dell’Amministrazione, la quale ha infatti avuto modo di chiarire in passato “che (…) l’inerenza, e quindi l’inevitabilità di un costo od onere, va riconosciuta per il solo fatto che tale costo od onere si pone in una scelta di convenienza per l’imprenditore, ovverosia quando il fine perseguito è pur sempre quello di pervenire al maggior risultato economico”(R.M del 6 settembre 1980 Protocollo 9/517).
E in tal senso, va detto, che “la prova certa e precisa della … irrecuperabilità” della perdita su crediti “può dirsi raggiunta” ogni qual volta “… il creditore si trovi nella condizione di non iniziare o proseguire le azioni esecutive perché il costo sarebbe superiore al beneficio ritraibile da tale azione, per cui la certezza e la precisione della perdita risiede nella antieconomicità stessa delle iniziative di recupero” (Circ. Assonime n.15/2013 punto 1.2.2), dovendo in tal senso mettersi in rilievo che “una corretta analisi della antieconomicità o meno dell’azione di recupero dovrebbe basarsi sul raffronto tra i costi di tale azione ed i correlativi benefici quantificando questi ultimi, in particolare, non già in misura pari al valore nominale del credito, ma nell’importo che presumibilmente potrebbe essere riscosso in esito ad azioni esecutive nei confronti dei debitori” (Circ. Assonime n. 18/2014 nota 58).
E, non esistendo limiti ai mezzi di prova da opporre all’Ufficio in merito all’impossibilità di riscuotere i crediti, era ed è, anche presuntivamente, legittimo reputare sufficiente l’analisi operata dagli amministratori sulla certa infruttuosità della debitrice, fondata sui dati di bilancio della medesima, da cui eventualmente trasparisca non solo la sua irreversibile difficoltà finanziaria, ma la sospensione di ogni attività d’impresa e l’assenza di beni aggredibili. Analisi rivelatasi nel caso di specie esatta, come confermato dall’incapacità di pagare il debito in occasione dell’estinzione della società debitrice.
In altre parole, l’imprenditore non è tenuto, e non può essere obbligato, a dissolvere fondi, a disperdere tempo ed energie nel tentativo, inutile, di recuperare un credito irrecuperabile, potendo optare, sussistendone le condizioni, per la svalutazione del credito, per la remissione del debito o, appunto, per la sua cessione, in ragione della miglior conseguenza possibile per la sua attività, con l’unico limite che l’operazione non si risolva in una indebita riduzione della base imponibile. Per questo l’art. 101, c. 5, chiede certezza e precisione.
L’ipotesi interpretativa qui esposta è stata poi confermata anche dal legislatore che, con la novella introdotta dalla L. 147/2013 (legge di stabilità 2014), ha stabilito che “ … gli elementi certi e precisi sussistono inoltre in caso di cancellazione dei crediti dal bilancio operata in applicazione dei principi contabili” e, dunque, in tutte le ipotesi previste dall’Oic 15 (Appendice C), fra cui è espressamente ricompresa la cessione pro soluto del credito, come del resto ora condiviso anche dall’Agenzia delle Entrate: “Si ritiene, infatti, che la presunzione di ricorrenza degli elementi certi e precisi in caso di cancellazione dei crediti dal bilancio, ai fini della deduzione della perdita su crediti, introdotta dalla legge di stabilità per il 2014, sussista nell’ipotesi sub a), ossia nel caso di cessione pro soluto dei crediti con trasferimento sostanziale di tutti i rischi di insolvenza in capo al cessionario” (Circ. 14/E/2014).
Le statuizioni giudiziali.
Confermando la sentenza 123/2017 del 07.02.2017 della CTP Modena, sez. 1, la CTR di Bologna ha accolto le ragioni della difesa sotto due profili, avendo in primo luogo apprezzato come “il contribuente abbia fornito elementi adeguati per ritenere sussistenti i presupposti di certezza e precisione per la valutazione di non recuperabilità del credito”.
Ma, ai fini divulgativi che qui interessano, soprattutto la CTR, nell’accogliere in toto la tesi della difesa, ha condiviso come legge di Stabilità 2014 abbia “modificato lo scenario di riferimento, introducendo una regola di deducibilità automatica nel caso di fuoriuscita del credito dal bilancio operata in applicazione dei principi contabili”.
Ha quindi osservato il Collegio che “prima di questa modifica normativa, l’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione n. 70 del 2008, aveva affermato che, in caso di cessione di crediti pro soluto, spettasse al contribuente dimostrare l’economicità della cessione ai fini della deducibilità della perdita su crediti, avuto riguardo alla coerenza tra il prezzo di cessione e le concrete possibilità di recupero del credito. Anche la giurisprudenza di legittimità confermava tale impostazione con una serie conforme di decisioni tra le quali, per ultima Cass. Sez. 5, 24.07.2014 n. 16823”.
Ciò detto, la CTR ha proseguito chiarendo che “l’interpretazione circa la natura della norma introdotta dalla legge di Stabilità del 2014 proposta dalla CTP va condivisa poiché, trattandosi di norma di natura interpretativa, ricognitiva di principi già immanenti nell’ordinamento quanto alle perdite su crediti realizzate a seguito di cessione pro soluto, ne va riconosciuta l’applicazione anche per il passato.
La novella introdotta dalla legge di Stabilità 2014 deve essere, per quanto riguarda le perdite derivanti da cessione pro soluto di crediti, letta come una norma di interpretazione autentica. In sostanza il legislatore ha inteso porre fine al dibattito che si era sviluppato negli anni precedenti relativamente alla deducibilità delle perdite derivanti da cessioni pro soluto dei crediti, introducendo una norma di interpretazione autentica. Nella Relazione illustrativa al disegno di legge di Stabilità 2014 è stato precisato che la stessa, «al fine di migliorare la coerenza fra le regole fiscali e la disciplina di redazione del bilancio, a prescindere dai principi contabili adottati, . . . consente di estendere le ipotesi in cui si considerano soddisfatti i requisiti per la deducibilità delle perdite su crediti anche all’ipotesi di cancellazione dei crediti dal bilancio redatto secondo i principi contabili nazionali», così come era già previsto «per i soggetti Ias/Ifrs adopter>>, per i quali «la sussistenza degli elementi certi e precisi, necessari ai fini della deducibilità della perdita su crediti, deve considerarsi realizzata, tra l’altro, nell’ipotesi in cui è possibile effettuare la derecognition di un credito, tra cui rientrano anche i trasferimenti «giuridici>>. In base ai principi contabili nazionali, in caso di cessione pro soluto di un credito, è obbligatorio procedere alla cancellazione dei crediti dal bilancio”.
In conclusione, avendo già apprezzato autonome ragioni di deduzione della perdita nelle valutazioni di opportunità sopra illustrate, il Collegio ha tuttavia riconosciuto una ulteriore giustificazione nella cessione pro-soluto del credito che è di per sé sufficiente, se idonea alla cancellazione del credito in base ai corretti principio contabili. Argomento, quest’ultimo, per di più con effetto retroattivo, avendo la Corte ritenuto la novella caratterizzata da valore interpretativo.