(1) LE NUOVE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI AMMORTIZZATORI SOCIALI
• CASSA INTEGRAZIONE ORDINARIA E ASSEGNO ORDINARIO EROGATO DAI FONDI
a. Con riferimento alle aziende che abbiano sospeso o ridotto l’attività per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19, e che per tale ragione abbiano avuto accesso al trattamento di integrazione salariale ordinaria, ovvero all’assegno ordinario erogato dal Fondo di Integrazione Salariale dell’INPS (cd. FIS) o da altri Fondi di Solidarietà, la principale novità riguarda la procedura da seguire.
Fino ad oggi, infatti, l’art. 19 del decreto prevedeva l’obbligatorio invio preventivo di una comunicazione ai sindacati, cui poi poteva anche seguire una successiva fase (facoltativa) di consultazione ed esame congiunto, da svolgersi anche in via telematica. Il tutto, con o senza accordo, doveva comunque esaurirsi entro i 3 giorni successivi all’invio della comunicazione, e poi si poteva procedere con la domanda all’INPS.
La legge di conversione ha eliminato tale passaggio procedurale obbligatorio, consentendo di procedere direttamente con la domanda all’INPS, e i datori di lavoro che non abbiano ancora provveduto ad attivarsi per la richiesta, quindi, potranno godere di questa ulteriore semplificazione.
b. È stato inoltre confermato che possono presentare domanda di concessione del trattamento ordinario di integrazione salariale o di accesso all’assegno ordinario, con causale ”emergenza COVID-19”, per un periodo aggiuntivo non superiore a 3 mesi (rispetto alle 9 settimane previste dall’art. 19), i datori di lavoro con unità produttive site nei comuni della cd. “zona rossa” (Bertonico; Casalpusterlengo; Castelgerundo; Castiglione D’Adda; Codogno; Fombio; Maleo; San Fiorano; Somaglia; Terranova dei Passerini; Vò), nonché i datori di lavoro che non abbiano sede legale o unità produttive od operative nei suddetti comuni, limitatamente ai lavoratori in forza ivi residenti o domiciliati.
• CASSA INTEGRAZIONE IN DEROGA
a. Anche con riferimento alle aziende che hanno titolo per accedere alla cassa integrazione guadagni in deroga, ai sensi dell’art. 22 del decreto, la prima novità è di natura procedurale.
Il decreto, infatti, prevedeva un obbligo preventivo di accordo con i sindacati, dal quale erano esentati solo i datori di lavoro fino a 5 dipendenti. La legge di conversione, tuttavia, ha aggiunto un’ulteriore ipotesi di esenzione dall’accordo, che riguarda “i datori di lavoro che hanno chiuso l’attività in ottemperanza ai provvedimenti di urgenza emanati per far fronte all’emergenza epidemiologica da COVID-19”.
La rilevanza sul piano pratico di tale precisazione, peraltro, potrà forse apparire di portata limitata, se si ritiene (come appare più corretto) che l’art. 22 ponga esclusivamente a carico delle regioni (e non dei singoli datori di lavoro) l’obbligo di preventivo accordo coi sindacati: ad oggi, infatti, tutte le regioni italiane hanno ormai stipulato l’accordo ai sensi dell’art. 22.
b. Nel nuovo art. 22 D.L. n. 18/2020, poi, si dà copertura legislativa al Decreto Interministeriale del 24 marzo 2020 che, in relazione ai datori di lavoro con unità produttive site in cinque o più Regioni o Province
autonome sul territorio nazionale, aveva già stabilito che, ai fini del coordinamento delle relative procedure, il
trattamento di cassa integrazione in deroga avrebbe dovuto essere riconosciuto dal Ministero del lavoro, e non dalle singole Regioni o Province autonome.
c. Per i datori di lavoro con unità produttive site nei comuni della “zona rossa”, o che comunque impiegano lavoratori residenti o domiciliati nei predetti comuni, è stata inoltre confermata la possibilità di presentare anche domanda di concessione della cassa integrazione in deroga, con causale ”emergenza COVID-19”, per un periodo aggiuntivo non superiore a 3 mesi (rispetto alle 9 settimane previste dall’art. 22). Analogamente, è stato confermato che le Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, con riferimento ai datori di lavoro con unità produttive ivi situate, e comunque per i lavoratori in forza ivi residenti o domiciliati, hanno la possibilità di riconoscere trattamenti di cassa integrazione salariale in deroga, per un periodo aggiuntivo non superiore a quattro settimane, autorizzabile con il medesimo provvedimento di concessione.
(2) IL DIVIETO DI LICENZIAMENTO
L’art. 46 del decreto prevede che, a partire dal 17 marzo 2020 e per i successivi 60 giorni, al datore di lavoro sia vietato effettuare licenziamenti collettivi e licenziamenti individuali determinati da ragioni di natura economico – organizzativa. Nel medesimo periodo sono anche sospese le procedure di licenziamento collettivo pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020.
Resta ferma la facoltà di licenziare per ragioni di natura disciplinare o per altre causali specifiche (ad esempio, per superamento del periodo di comporto o per mancato superamento del periodo di prova), nonché – dal tenore letterale della norma – sembrerebbe consentito anche il licenziamento individuale dei dirigenti per ragioni di natura economica – organizzativa.
La legge di conversione è intervenuta anzitutto a correggere la rubrica dell’articolo, che non reca più la dicitura “sospensione delle procedure di impugnazione dei licenziamenti”, che in effetti non aveva nulla a che vedere col contenuto della disposizione, bensì la più corretta formula “disposizioni in materia di licenziamenti collettivi e individuali per giustificato motivo oggettivo”.
In secondo luogo, all’art. 46 è stato aggiunto un inciso, relativo alle situazioni del cd. “cambio di appalto”, che esclude espressamente dall’ambito di applicazione del divieto “le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro di clausola del contratto d’appalto”.
Da ultimo, è forse opportuno precisare che la legge di conversione non ha prorogato il termine di scadenza del divieto, che quindi cesserà di avere efficacia a partire dal 17 maggio 2020. Ciò non esclude, evidentemente, che un divieto di contenuto e durata analoga possa essere contenuto nel cd. “decreto-aprile”, di cui si sta discutendo in questi giorni, soprattutto se verranno rifinanziati gli ammortizzatori sociali a favore delle imprese, consentendo così di garantire copertura per un periodo più lungo.
(3) LA “NORMA DI INTERPRETAZIONE AUTENTICA” IN MATERIA DI PROROGA E RINNOVO DEI CONTRATTI A TERMINE
Con l’aggiunta dell’art. 19 bis viene introdotta quella che forse è la novità più importante in materia di lavoro della legge di conversione.
Tale nuova disposizione, infatti, significativamente rubricata “norma di interpretazione autentica in materia di accesso agli ammortizzatori sociali e rinnovo dei contratti a termine”, stabilisce che, “considerata l’emergenza epidemiologica da COVID-19, ai datori di lavoro che accedono agli ammortizzatori sociali di cui agli articoli da 19 a 22 del … decreto, nei termini ivi indicati, è consentita la possibilità … di procedere, nel medesimo periodo, al rinnovo o alla proroga dei contratti a tempo determinato, anche a scopo di somministrazione”, in deroga ad alcuni dei divieti posti dalla normativa generale in materia, attualmente contenuta nel d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81.
La prima considerazione da fare riguarda l’ambito di applicazione della disposizione, che riguarda solo i datori di lavoro che “accedono” agli ammortizzatori sociali previsti dal decreto Cura-Italia.
Trattandosi di norma “di interpretazione autentica”, l’intenzione del legislatore sembra quella di far retroagire i suoi effetti al 17 marzo 2020, data di entrate in vigore del decreto, per dare copertura anche alle proroghe e ai rinnovi intervenuti nel frattempo.
Dal tenore letterale dell’art. 19 bis, tuttavia, sembra anche che tale agevolazione sia riservata al “medesimo periodo” in cui i suddetti datori di lavoro “accedono agli ammortizzatori sociali”, e che quindi presupponga la concessione dell’autorizzazione da parte dell’INPS.
Se così fosse, pertanto, l’art. 19 bis non sarebbe applicabile a qualsiasi proroga o rinnovo intervenuti nel periodo che va dal 23 febbraio 2020 al 31 agosto 2020, purché ad un certo punto il datore di lavoro sia stato autorizzato al trattamento di integrazione salariale; bensì, solamente a quelle proroghe e a quei rinnovi successivi all’autorizzazione dell’INPS, anche se precedenti all’entrata in vigore della legge di conversione. Tenendo conto, però, che gli assunti successivamente al 17 marzo ad oggi non possono godere degli ammortizzatori sociali previsti dal decreto Cura Italia. Un eventuale rinnovo successivo, pertanto, potrebbe avrebbe la paradossale conseguenza di garantire un posto di lavoro senza copertura del trattamento di integrazione salariale.
Una seconda doverosa considerazione, poi, ha ad oggetto l’effettiva portata derogatoria dell’art. 19 bis. Le disposizioni espressamente derogate, infatti, sono quelle che prevedono:
a. che “l’apposizione di un termine alla durata di un contratto di lavoro subordinato non è ammessa” e “il contratto di somministrazione di lavoro è vietato” presso le unità produttive “nelle quali sono operanti una sospensione del lavoro o una riduzione dell’orario in regime di cassa integrazione guadagni, che interessano lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto”, a tempo determinato o di somministrazione di lavoro (art. 20 co. 1 lett. c) e art. 32 co. 1 lett. c) del citato d.lgs. 81/2015);
b. e che, “qualora il lavoratore sia riassunto a tempo determinato entro dieci giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a sei mesi, ovvero venti giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore a sei mesi, il secondo contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato” (cd. “stop and go”, art. 21 co. 2, d.lgs. 81/2015).
La prima precisazione era necessaria, a conferma all’esistenza di un pregresso divieto di utilizzo dello strumento del contratto a termine per le aziende che hanno in corso trattamenti di cassa integrazione. La deroga al divieto, tuttavia, non riguarda anche le assunzioni a tempo determinato, eventualmente anche nell’ambito di un contratto di somministrazione di lavoro, ma solamente le proroghe e i rinnovi relativi a contratti già in essere alla data del 17 marzo.
In tale contesto, l’unico altro limite che viene derogato è quello dello “stop and go”, con la conseguenza che i rinnovi potranno essere effettuati anche prima dei 10 o 20 giorni previsti normalmente come intervallo minimo tra un contratto e l’altro. Questo, tuttavia, significa che numerosi altri limiti previsti dal d.lgs. 81/2015 non sono stati invece derogati, uno per tutti quello della necessaria causalità del rinnovo, con tutte le evidenti difficoltà di motivare, nell’attuale contesto socio-economico, i rinnovi sulla base delle causali attualmente previste dalla legge (esigenze “temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività” o “connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria”).