(1) le nuove disposizioni in materia di ammortizzatori sociali
Il Decreto Rilancio interviene modificando la disciplina speciale in materia di ammortizzatori sociali “da COVID-19 contenuta nel cd. Decreto “Cura Italia” (decreto-legge n. 18 del 17 marzo 2020), convertito dalla legge n. 27 del 24 aprile 2020 e già modificato in parte anche dal Decreto cd. “Liquidità” (decreto-legge n. 23 del 8 aprile 2020).
Di seguito, una sintetica panoramica della suddetta disciplina, con evidenza delle novità introdotte dal Decreto Rilancio:
- Cassa integrazione ordinaria e assegno ordinario erogato dai fondi
Datori di lavoro legittimati: quelli che nell’anno 2020 sospendono o riducono l’attività lavorativa per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19, senza la necessità di verificare la sussistenza di “eventi transitori e non imputabili all’impresa o ai dipendenti”, tramite la relazione tecnica normalmente prevista dalla disciplina generale.
Lavoratori beneficiari: per l’accesso ai suddetti ammortizzatori sociali è sufficiente che i dipendenti fossero già in forza all’azienda al 25 marzo 2020, e ciò in deroga ai più stringenti requisiti di anzianità aziendale previsti dalla disciplina generale in materia (N.d.A. Tale data, originariamente fissata nel 23 febbraio 2020 dal Decreto-Cura Italia, era già stata modificata dal Decreto Liquidità, che aveva previsto l’estensione degli ammortizzatori sociali anche ai lavoratori assunti dal 24 febbraio al 17 marzo 2020).
Durata massima:
– per periodi decorrenti dal 23 febbraio 2020 al 31 agosto 2020: nove (9) settimane, incrementate di ulteriori cinque (5) per i soli datori di lavoro che abbiamo interamente fruito le nove (9) settimane precedentemente concesse;
– per periodi decorrenti dal 1 settembre 2020 al 31 ottobre 2020: un eventuale ulteriore periodo di massimo quattro (4) settimane (delle quali i datori di lavoro dei settori turismo, fiere e congressi e spettacolo, possono usufruire anche per periodi precedenti al 1 settembre), per i datori di lavoro che abbiano già fruito le 14 settimane di cui al paragrafo precedente.
Comuni della ex “Zona Rossa”: la legge di conversione del Decreto Cura Italia, con l’aggiunta di un comma 10 bis all’art. 19, aveva confermato che potevano presentare domanda di concessione del trattamento ordinario di integrazione salariale o di accesso all’assegno ordinario con causale “emergenza COVID-19” per un periodo aggiuntivo non superiore a 3 mesi (rispetto alle 9 settimane previste dall’art. 19), i datori di lavoro con unità produttive site nei comuni che rientravano nella cd. “zona rossa” (Bertonico; Casalpusterlengo; Castelgerundo; Castiglione D’Adda; Codogno; Fombio; Maleo; San Fiorano; Somaglia; Terranova dei Passerini; Vò), nonché i datori di lavoro che non avessero sede legale o unità produttive od operative nei suddetti comuni, limitatamente ai lavoratori in forza ivi residenti o domiciliati.
Poiché il suddetto comma 10 bis non è stato abrogato, si dovrebbe pertanto concludere che i 3 mesi in più previsti per i comuni della ex Zona Rossa vadano ad aggiungersi (non più alle 9 settimane originariamente previste, ma) alle 14 (o addirittura 18) settimane che spettano in base al nuovo Decreto Rilancio.
Procedura:
Fase sindacale
– comunicazione preventiva alle RSA o alla RSU (ove esistenti), o alle articolazioni territoriali delle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, avente ad oggetto le cause di sospensione o di riduzione dell’orario di lavoro, l’entità e la durata prevedibile, il numero dei lavoratori interessati;
– a tale comunicazione può seguire, su richiesta di una delle parti, un esame congiunto della situazione avente a oggetto la tutela degli interessi dei lavoratori in relazione alla crisi dell’impresa;
– la procedura può svolgersi anche in via telematica e deve comunque concludersi entro i tre (3) giorni successivi all’invio della comunicazione preventiva: ciò significa che in ogni caso (sia che l’esame congiunto sia in corso, sia che non sia stato nemmeno richiesto) la procedura si considera conclusa decorsi 3 giorni dall’invio della comunicazione preventiva (N.d.A. Tale passaggio procedurale era stato soppresso dalla legge di conversione del Decreto Cura Italia: a rigore, quindi, per le domande presentate dal 29 aprile fino al 18 maggio 2020 compreso, le domande presentate all’INPS o ai Fondi senza il preventivo esperimento della procedura sindacale devono essere accolte);
Fase amministrativa
– la domanda, in ogni caso, deve essere presentata entro la fine del mese successivo (N.d.A. Non più del quarto mese successivo) a quello in cui ha avuto inizio il periodo di sospensione o di riduzione dell’attività lavorativa. Con un’importante precisazione: il termine di presentazione delle domande riferite a periodi di sospensione o riduzione che abbiano avuto inizio nel periodo ricompreso tra il 23 febbraio 2020 e il 30 aprile 2020, è fissato al 31 maggio 2020. Qualora la domanda sia presentata dopo i suddetti termini, “l’eventuale trattamento di integrazione salariale non potrà aver luogo per periodi anteriori di una settimana rispetto alla data di presentazione”.
Pagamento diretto: il trattamento di cassa integrazione ordinaria e l’assegno ordinario erogato dai Fondi con causale “emergenza COVID-19” possono essere concessi con la modalità di pagamento diretto della prestazione da parte dell’INPS, senza che il datore di lavoro debba comprovare le difficoltà finanziarie dell’impresa.
Per le richieste con pagamento diretto presentate dopo l’entrata in vigore del Decreto Rilancio si applicherà la seguente procedura:
– il datore di lavoro trasmette la domanda alla sede INPS territorialmente competente entro il quindicesimo (15°) giorno dall’inizio del periodo di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa, unitamente ai dati essenziali per il calcolo e l’erogazione di una anticipazione della prestazione ai lavoratori;
– l’INPS autorizza le domande e dispone l’anticipazione di pagamento del trattamento (nella misura del 40% delle ore autorizzate nell’intero periodo) entro quindici (15) giorni dal ricevimento delle domande stesse;
– a seguito della successiva trasmissione completa dei dati da parte dei datori di lavoro, l’Inps provvede al pagamento del trattamento residuo, o al recupero nei confronti dei datori di lavoro degli eventuali importi indebitamente anticipati;
– il datore di lavoro è obbligato ad inviare all’INPS tutti i dati necessari per il pagamento dell’integrazione salariale, secondo le modalità stabilite dall’Istituto,
- entro trenta (30) giorni dall’erogazione dell’anticipazione,
- ovvero entro venti (20) giorni dall’entrata in vigore del Decreto Rilancio, per le domande riferite a periodi di sospensione o riduzione che hanno avuto inizio nel periodo 23 febbraio / 30 aprile 2020, già autorizzate dalle amministrazioni competenti, nel caso in cui i datori di lavoro non abbiano ancora provveduto.
Trascorso inutilmente tale termine, il pagamento della prestazione e gli oneri ad essa connessi rimangono a carico del datore di lavoro inadempiente.
Per la regolamentazione delle modalità operative della presente procedura, tuttavia, occorrerà attendere un’apposita Circolare dell’INPS.
Assegni familiari: l’INPS, con la Circolare n. 47 del 28 marzo 2020 aveva definitivamente chiarito che (in base alla normativa vigente) “durante il periodo di percezione dell’assegno ordinario non è erogata la prestazione accessoria degli assegni al nucleo familiare”, a differenza che nei periodi di cassa integrazione ordinaria e in deroga.
Il Decreto Rilancio ha posto fine a tale ingiustificata discriminazione, prevedendo che ai beneficiari dell’assegno ordinario erogato dal FIS e dagli altri Fondi con causale “emergenza COVID-19” spetterà, alle medesime condizioni dei lavoratori ad orario normale, l’assegno per il nucleo familiare.
- Cassa integrazione in deroga
Datori di lavoro legittimati: datori di lavoro del settore privato (ivi inclusi quelli agricoli, della pesca e del terzo settore compresi gli enti religiosi civilmente riconosciuti) per i quali non trovino applicazione le tutele previste dalle vigenti disposizioni in materia di sospensione o riduzione di orario in costanza di rapporto di lavoro.
Lavoratori beneficiari: per l’accesso ai suddetti ammortizzatori sociali è sufficiente che i dipendenti fossero già in forza all’azienda al 25 marzo 2020 (vedi sopra).
Durata massima:
– per periodi decorrenti dal 23 febbraio 2020 al 31 agosto 2020: nove (9) settimane, incrementate di ulteriori cinque (5) per i soli datori di lavoro che abbiamo interamente fruito le nove (9) settimane precedentemente concesse;
– per periodi decorrenti dal 1 settembre 2020 al 31 ottobre 2020: un eventuale ulteriore periodo di massimo quattro (4) settimane (delle quali i datori di lavoro dei settori turismo, fiere e congressi e spettacolo, possono usufruire anche per periodi precedenti al 1 settembre), per i datori di lavoro che abbiano già fruito le 14 settimane di cui al paragrafo precedente.
Comuni della ex “Zona Rossa” / Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna: la legge di conversione del Decreto Cura Italia, con l’aggiunta del comma 8 bis all’art. 22, aveva confermato – per i datori di lavoro con unità produttive site nei comuni della “zona rossa” (vedi sopra), o che comunque impiegassero lavoratori residenti o domiciliati nei predetti comuni – la possibilità di presentare domanda di concessione della cassa integrazione in deroga con causale “emergenza COVID-19” per un periodo aggiuntivo non superiore a 3 mesi (rispetto alle 9 settimane previste dall’art. 22).
Analogamente, con l’aggiunta del comma 8 quater, era stato confermato che le Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, con riferimento ai datori di lavoro con unità produttive ivi situate, e comunque per i lavoratori in forza ivi residenti o domiciliati, avessero la possibilità di riconoscere trattamenti di cassa integrazione salariale in deroga, per un periodo aggiuntivo non superiore a quattro settimane.
Ebbene, poiché i suddetti commi 8 bis e 8 quater non sono stati abrogati, sembrerebbe doversi ritenere che i 3 mesi in più previsti per i comuni della ex Zona Rossa, e le 4 settimane in più previste per Lombardia/Veneto/Emilia-Romagna, vadano ad aggiungersi (non più alle 9 settimane originariamente previste, ma) alle 14 (o addirittura 18) settimane che spettano in base al nuovo Decreto Rilancio.
Procedura:
Fase sindacale
Il “previo accordo”: in linea generale, il Decreto Cura-Italia prevedeva la necessità per le singole Regioni e Province Autonome (cui era attribuito in via esclusiva il potere di riconoscere il trattamento di integrazione salariale in questione) di stipulare un “previo accordo … concluso anche in via telematica con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale”. E, ad oggi, tutte le Regioni e le Province Autonome hanno stipulato un accordo coi sindacati ai sensi della normativa indicata. Per la Regione Lombardia, a titolo esemplificativo, si fa riferimento all’accordo-quadro del 23 marzo 2020, con cui peraltro è stato previsto l’ulteriore obbligo per i datori di lavoro di stipulare, a loro volta, un accordo coi sindacati secondo il modello standard allegato all’accordo-quadro.
Sin dall’inizio, i datori di lavoro fino a 5 dipendenti potevano accedere alla cassa in deroga a prescindere dal “previo accordo”, e quindi a prescindere anche dagli eventuali ulteriori requisiti aggiuntivi posti a carico delle Parti dai suddetti accordi.
Con la legge di conversione del Decreto Cura-Italia, poi, era stata aggiunta un’ulteriore ipotesi di esclusione dall’ambito di applicazione del “previo accordo”, riguardante “i datori di lavoro che hanno chiuso l’attività in ottemperanza ai provvedimenti di urgenza emanati per far fronte all’emergenza epidemiologica da COVID-19”.
Tale ipotesi, tuttavia, è stata espressamente abrogata dal Decreto Rilancio (N.d.A. Di conseguenza, nel lasso di tempo intercorso tra l’entrata in vigore della Legge di Conversione e quella del Decreto Rilancio, dal 29 aprile fino al 18 maggio 2020, i suddetti datori di lavoro con più di 5 dipendenti che abbiano chiuso l’attività potranno accedere alla cassa in deroga a prescindere dagli eventuali vincoli aggiuntivi posti a loro carico dagli accordi quadro regionali, cui invece dovranno sottostare dal 19 maggio 2020 in poi).
Fase amministrativa
– per periodi fino a nove (9) settimane, non ancora riconosciuti: le domande devono ancora essere presentate alla Regione e alle Province Autonome, che le istruiscono secondo l’ordine cronologico di presentazione delle stesse e concedono i trattamenti con decreto, da trasmettere all’INPS in modalità telematica entro quarantotto (48) ore dall’adozione, unitamente alla lista dei beneficiari; l’INPS, poi, provvede all’erogazione delle predette prestazioni;
– per periodi successivi alle prime nove (9) settimane (già riconosciute dalle Regioni e dalle Province Autonome): i datori di lavoro inviano telematicamente la domanda con la lista dei beneficiari all’INPS, indicando le ore di sospensione per ciascun lavoratore per tutto il periodo autorizzato. La domanda deve essere trasmessa alla sede INPS territorialmente competente entro trenta (30) giorni dall’entrata in vigore del decreto oppure, decorso il predetto termine, entro la fine del mese successivo a quello in cui ha avuto inizio il periodo di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa. Le prestazioni sono concesse ed erogate direttamente dall’INPS.
Per i datori di lavoro con unità produttive site in più Regioni o Province Autonome il trattamento di cassa integrazione in deroga può essere riconosciuto dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali. A tal proposito, viene ribadita la copertura legislativa (già riconosciuta dalla Legge di Conversione del Decreto Cura Italia) al Decreto Interministeriale del 24 marzo 2020, che ha precisato che il Ministero del Lavoro interviene per i datori di lavoro con unità produttive site in cinque (5) o più Regioni o Province Autonome sul territorio nazionale.
In ogni caso, l’efficacia dei provvedimenti di concessione e la stessa erogazione è subordinata alla verifica del rispetto dei limiti di spesa fissati dalla normativa.
Pagamento diretto: vale anche per la cassa integrazione in deroga la procedura già descritta per la cassa integrazione ordinaria e l’assegno ordinario (vedi sopra), con le seguenti precisazioni:
– il datore di lavoro è obbligato ad inviare all’INPS tutti i dati necessari per il pagamento dell’integrazione salariale entro il giorno 20 di ogni mensilità successiva a quella in cui è collocato il periodo di integrazione salariale;
– i datori di lavoro con unità produttive site in cinque (5) o più Regioni o Province Autonome sul territorio nazionale possono richiedere di anticipare il pagamento delle integrazioni salariali ai dipendenti aventi diritto alla fine di ogni periodo di paga, con rimborso e/o conguaglio fra contributi dovuti e prestazioni corrisposte da parte dell’INPS.
(2) Ulteriori misure di sostegno all’occupazione
- Fondo per la salvaguardia dei livelli occupazionali e la prosecuzione dell’attività d’impresa
Il Decreto Rilancio ha istituito il Fondo per la salvaguardia dei livelli occupazionali e la prosecuzione dell’attività d’impresa, finalizzato al salvataggio e alla ristrutturazione:
– di imprese titolari di marchi storici di interesse nazionale iscritte nell’apposito registro,
– delle società di capitali aventi un numero di dipendenti non inferiore a duecentocinquanta (250),
che si trovino in uno stato di difficoltà economico-finanziaria, comprovata sulla base di criteri individuati da un decreto del Ministro dello sviluppo economico, che stabilirà anche le modalità di gestione e di funzionamento del Fondo, nonché le procedure per l’accesso ai relativi interventi, “dando priorità alle domande che impattano maggiormente sui profili occupazionali e sullo sviluppo del sistema produttivo” (art. 52).
Il Fondo opera, nei limiti delle proprie risorse, attraverso:
– interventi nel capitale di rischio delle imprese che versano nelle condizioni indicate, effettuati a condizioni di mercato (e, quindi, non aventi natura di aiuti di Stato),
– misure di sostegno al mantenimento dei livelli occupazionali, in coordinamento con gli strumenti vigenti sulle politiche attive e passive del lavoro.
Le imprese che intendano avvalersi del Fondo notificano al Ministero dello sviluppo economico le informazioni relative a:
- a) le azioni che intendono porre in essere per ridurre gli impatti occupazionali (incentivi all’uscita, prepensionamenti, riallocazione di addetti all’interno dell’impresa o del gruppo di appartenenza dell’impresa);
- b) le imprese che abbiano già manifestato interesse all’acquisizione della società o alla prosecuzione dell’attività d’impresa, ovvero le azioni che intendono porre in essere per trovare un possibile acquirente, anche mediante attrazione di investitori stranieri;
- c) le opportunità per i dipendenti di presentare una proposta di acquisto ed ogni altra possibilità di recupero degli asset da parte degli stessi.
Secondo la relazione tecnica al Decreto Rilancio, non vi sarebbe sovrapposizione del Fondo de quo rispetto all’attuale sistema degli ammortizzatori sociali, tenuto conto che i benefici occupazionali dell’intervento in commento avrebbero “carattere indiretto, essendo ottenuti attraverso l’assicurazione della continuità dell’attività di impresa”.
- Aiuti sotto forma di sovvenzioni per il pagamento dei salari dei dipendenti per evitare i licenziamenti durante la pandemia di COVID-19
Le Regioni, le Provincie Autonome, gli altri enti territoriali e le Camere di commercio possono adottare misure di aiuto, a valere sulle proprie risorse, concessi al fine di contribuire ai costi salariali (ivi comprese le quote contributive e assistenziali) delle imprese e dei lavoratori autonomi, e destinati ad evitare i licenziamenti durante la pandemia di COVID‐19.
Si tratta di sovvenzioni aventi natura di aiuti di Stato, che come tali soggiacciono alla relativa disciplina nazionale e comunitaria. Pertanto, tali sovvenzioni sono concesse sotto forma di regimi destinati alle imprese di determinati settori o regioni o di determinate dimensioni, particolarmente colpite dalla pandemia di COVID-19, e in quanto tali conferiscono alle imprese un “vantaggio selettivo”. Al contrario, non rientrano nella fattispecie gli aiuti che riguardano tutta l’economia poiché, in quanto tali, non comportano un vantaggio selettivo e, pertanto, esulano dal campo di applicazione del controllo dell’Unione sugli aiuti di Stato.
La sovvenzione per il pagamento dei salari:
– viene concessa per un periodo non superiore a dodici (12) mesi;
– non supera l’80 % della retribuzione mensile lorda (compresi i contributi previdenziali a carico del datore di lavoro) del personale beneficiario;
– riguarda i dipendenti che altrimenti sarebbero stati licenziati a seguito della sospensione o della riduzione delle attività aziendali dovuta alla pandemia di COVID-19, a condizione che il personale che ne beneficia continui a svolgere in modo continuativo l’attività lavorativa durante tutto il periodo per il quale è concesso l’aiuto.
La sovvenzione per il pagamento dei salari può essere combinata:
– con altre misure di sostegno all’occupazione generalmente disponibili o selettive, purché il sostegno combinato non comporti una sovra-compensazione dei costi salariali relativi al personale interessato,
– con i differimenti delle imposte e i differimenti dei pagamenti dei contributi previdenziali.
Tuttavia, gli aiuti in questione non possono in alcun caso consistere in trattamenti di integrazione salariale, né ai sensi della disciplina generale (di cui al decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 148), né ai sensi della disciplina speciale per l’emergenza COVID-19 (di cui agli artt. 19 e seguenti del Decreto Cura Italia).
Il termine per la concessione degli aiuti è il 31 dicembre 2020, e per quelli concessi sotto forma di agevolazioni fiscali coincide col termine per la presentazione della relativa dichiarazione da parte del beneficiario.
(3) Il divieto di licenziamento
L’art. 46 del Decreto Cura Italia prevedeva che, a partire dal 17 marzo 2020 e per i successivi 60 giorni, al datore di lavoro fosse vietato di effettuare licenziamenti collettivi e licenziamenti individuali determinati da ragioni di natura economico – organizzativa. Nel medesimo periodo erano anche sospese le procedure di licenziamento collettivo pendenti, avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020.
Restava ferma la facoltà di licenziare per ragioni di natura disciplinare o per altre causali specifiche (ad esempio, per superamento del periodo di comporto o per mancato superamento del periodo di prova), nonché – dal tenore letterale della norma – si riteneva consentito anche il licenziamento individuale dei dirigenti per ragioni di natura economica – organizzativa.
La legge di conversione del Decreto Cura Italia è intervenuta confermando nella sostanza il contenuto della disposizione ed aggiungendo:
- a) la sospensione delle procedure di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo in corso (alla data di entrata in vigore del Decreto Cura Italia) ai sensi dell’art. 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604;
- b) l’inciso, relativo alle situazioni del cd. “cambio di appalto”, che escludeva espressamente dall’ambito di applicazione del divieto “le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro di clausola del contratto d’appalto”.
Il Decreto Rilancio, nel confermare per il resto il contenuto dell’art. 46, ha anzitutto prorogato il termine di scadenza del divieto, che quindi cesserà di avere efficacia (non più a partire dal 17 maggio 2020, ma) dal 18 agosto 2020, decorsi cioè cinque mesi dall’entrata in vigore del Decreto Cura Italia.
Per valutare appieno la portata di tale novità, tuttavia, occorre tenere conto di due circostanze:
– da una parte, che nel periodo 23 febbraio / 31 agosto 2020 ai datori di lavoro viene garantita la copertura degli ammortizzatori sociali per un massimo (salvo casi eccezionali) di 14 settimane;
– dall’altra, che con l’avvio della cd. “Fase 2” (dal DPCM 26 aprile 2020 in poi) le situazioni di sospensione obbligatoria dell’attività delle aziende, imposta dai provvedimenti della pubblica autorità, dovrebbe diventare sempre di più l’eccezione, e non la regola.
In tale contesto, potrebbero non configurarsi più delle sospensioni del rapporto non imputabili al datore di lavoro, e non prevedibili né evitabili da quest’ultimo, che come tali lo esonerano dall’obbligazione retributiva e contributiva. Fino al 18 agosto 2020, invece, potrebbe verificarsi la paradossale situazione per cui il datore di lavoro, che si trova comunque in crisi a causa delle ricadute sul mercato dell’emergenza COVID-19, ma non è obbligato a sospendere l’attività, non potrà da una parte effettuare licenziamenti determinati da ragioni di natura economico – organizzativa; ma, dall’altra, potrebbe avere esaurito la copertura degli ammortizzatori sociali, rimanendo interamente gravato di tutti gli obblighi (e i relativi costi) retributivi e contributivi nei confronti dei dipendenti e degli enti previdenziali.
Il Decreto Rilancio, infine, ha ritenuto di riservare una specifica disciplina per i datori di lavoro che, nel periodo dal 23 febbraio al 17 marzo 2020 (quindi, prima dell’entrata in vigore del divieto di licenziamento), abbiano proceduto ad effettuare licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo.
Per costoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, è prevista la possibilità di revocare il licenziamento in ogni tempo, purché contestualmente il datore di lavoro faccia richiesta del trattamento di cassa integrazione salariale spettante, a partire dalla data in cui ha efficacia il licenziamento. In tal caso, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, senza oneri né sanzioni per il datore di lavoro.
Con riferimento ai datori di lavoro cui si applica l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, quindi, viene derogata la necessità della previa impugnazione del licenziamento e della revoca entro quindici (15) giorni dalla relativa comunicazione, nonché la previsione del diritto del lavoratore alla retribuzione maturata nel periodo precedente alla revoca, mentre resta ferma la non applicazione dei regimi sanzionatori previsti per il licenziamento illegittimo.
(4) Disposizioni in materia di proroga e rinnovo dei contratti a termine
Com’è noto, i contratti a termine di durata superiore a dodici (12) mesi, fermi restando i limiti di durata massima stabiliti dalla normativa in materia, possono tassativamente essere stipulati solo in presenza di una delle condizioni di seguito indicate (le cd. causali):
- a) esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività, ovvero esigenze di sostituzione di altri lavoratori;
- b) esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria.
Com’è altrettanto noto, la sanzione per il mancato rispetto di tale prescrizione è particolarmente severa: il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di superamento del termine di dodici mesi.
Per quanto riguarda i rinnovi e le proroghe di un contratto a termine, vale una disciplina parzialmente diversa: per il rinnovo (stipula di un nuovo contratto a termine) è sempre necessaria la causale, anche se il contratto rinnovato aveva durata inferiore ai 12 mesi e la scadenza del rinnovo non supera tale soglia; la proroga (prosecuzione del medesimo contratto) nei primi 12 mesi può essere invece effettuata senza causale, ferma restando la necessità della causale per la proroga effettuata o in scadenza oltre tale termine. Anche qui, in caso di violazione di tali limiti il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato
Ebbene, in deroga alla suddetta normativa generale, il Decreto Rilancio ha previsto che “per far fronte al riavvio delle attività in conseguenza all’emergenza epidemiologica da Covid-19”, è possibile “rinnovare o prorogare fino al 30 agosto 2020” i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato “in essere alla data del 23 febbraio 2020” anche in assenza delle causali sopra descritte.
La disposizione, per come formulata, desta il fianco ad alcune perplessità.
Il riferimento al “riavvio delle attività”, infatti, sembrerebbe interpretabile nel senso che la deroga all’obbligo di causale si applichi solo ai datori di lavoro che abbiano sospeso del tutto o in parte l’attività in conseguenza delle misure di contenimento e, quindi, alla riapertura debbano per l’appunto “far fronte al riavvio delle attività”. Se così fosse, tale disposizione – più che introdurre una deroga all’obbligo di causale – parrebbe introdurre una nuova e differente casuale per il periodo indicato.
La disposizione in materia di proroga/rinnovo dei contratti a termine introdotta dalla Legge di Conversione, per deroga parzialmente alla regola dello “stop and go”, poi, aveva fatto espresso riferimento ai contratti di somministrazione a termine, per estendere anche a questi ultimi il proprio campo d’applicazione. Il Decreto Rilancio, invece, non ha fatto alcun riferimento alla disciplina sulla somministrazione, il che sembrerebbe significare che si applica esclusivamente alla proroga e al rinnovo dei contratti a termine “diretti”, e non di somministrazione.
(5) Le altre misure a sostegno del lavoro
(Congedi per i dipendenti)
Per i dipendenti con figli di età fino a 12 anni il Decreto Cura Italia aveva previsto il diritto di godere su richiesta di un periodo di congedo, anche frazionato, non superiore a 15 giorni e coperto dall’INPS con un’indennità pari al 50% della retribuzione. In alternativa, i genitori possono ricevere un bonus di 600 euro per la fruizione di servizi di baby-sitting. Per i figli con disabilità grave accertata non valgono i limiti di età.
Con il Decreto Rilancio il periodo fruibile a titolo di congedo retribuito viene aumentato a trenta (30) giorni, nel periodo decorrente dal 5 marzo al 31 luglio 2020, mentre l’importo del bonus viene aumentato a 1.200 euro.
Per i dipendenti con figli di età compresa tra i 12 ai 16 anni era inoltre previsto un periodo di congedo per il periodo di sospensione delle attività didattiche nelle scuole di ogni ordine e grado, senza copertura indennitaria e senza diritto alternativo al bonus baby-sitting (ma con divieto di licenziamento e diritto alla conservazione del posto di lavoro), a condizione che nel nucleo familiare non vi fosse altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito (in caso di sospensione o cessazione dell’attività lavorativa), o che non vi fosse genitore non lavoratore.
Il Decreto rilancio estende tale diritto a tutti i dipendenti del settore privato con figli minori di anni 16.
(Permessi retribuiti ex articolo 33, legge 5 febbraio 1992, n. 104)
È previsto un incremento dei permessi ai sensi della L. 104/1992 nella misura complessiva di ulteriori 12 giorni fruibili nei mesi di maggio e giugno 2020 (in aggiunta a 12 in più già previsti per i mesi di marzo e aprile 2020 dal Decreto Cura Italia).
(Sorveglianza sanitaria eccezionale)
Il Decreto Rilancio, per garantire lo svolgimento in sicurezza delle attività produttive e commerciali fino alla data di cessazione dello stato di emergenza, prevede che i datori di lavoro debbano assicurare la sorveglianza sanitaria eccezionale con riferimento ai lavoratori maggiormente esposti a rischio di contagio, “in ragione dell’età o della condizione di rischio derivante da immunodepressione, anche da patologia COVID-19, o da esiti di patologie oncologiche o dallo svolgimento di terapie salvavita o comunque da comorbilità che possono caratterizzare una maggiore rischiosità”.
Nel caso in cui i datori di lavoro non siano tenuti alla nomina del medico competente per l’effettuazione della sorveglianza sanitaria, hanno due opzioni: a) nominarne uno per il periodo emergenziale, ovvero b) fare richiesta ai servizi territoriali dell’INAIL, che vi provvedono con propri medici del lavoro.
In ogni caso, l’inidoneità alla mansione accertata ai sensi del presente articolo non può in ogni caso giustificare il recesso del datore di lavoro dal contratto di lavoro.
(Smart-working)
Il Decreto Rilancio, infine, introduce per la prima volta un vero e proprio diritto al lavoro agile (smart-working), “fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID–19, [per] i genitori lavoratori dipendenti del settore privato che hanno almeno un figlio minore di anni 14, a condizione che nel nucleo familiare non vi sia altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito in caso di sospensione o cessazione dell’attività lavorativa o che non vi sia genitore non lavoratore … [e che] tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione”.
In tali situazioni, non è necessaria la stipula dell’accordo individuale previsto dalla normativa in materia di lavoro agile, mentre rimane fermo l’obbligo di informativa scritta relativa ai rischi generali e ai rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto, che possono essere assolti in via telematica anche ricorrendo alla documentazione resa disponibile sul sito dell’INAIL.
La prestazione lavorativa in lavoro agile può essere svolta anche attraverso strumenti informatici nella disponibilità del dipendente qualora non siano forniti dal datore di lavoro.
Con riferimento ai dipendenti del settore privato che non hanno i requisiti per godere del diritto allo Smart-Working, il Decreto Rilancio prevede comunque che la modalità di lavoro agile può essere applicata a ogni rapporto di lavoro subordinato, anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti e fermo restando l’assolvimento degli obblighi di informativa nei termini sopra indicati.
Per tutto il periodo dell’emergenza i datori di lavoro del settore privato comunicano al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in via telematica, i nominativi dei lavoratori e la data di cessazione della prestazione di lavoro in modalità agile, ricorrendo alla documentazione resa disponibile sul sito del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.