Art. 5
(Differimento dell’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, 14)
“All’articolo 389 del decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, il comma 1 è sostituito dal seguente: «1. Il presente decreto entra in vigore il 1 settembre 2021, salvo quanto previsto al comma 2.»”.
La disposizione in commento proroga l’entrata in vigore di tutte le disposizioni del d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 – il c.d. Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza – al 1° settembre 2021. Dunque, anche tutte le misure relative all’allerta e all’operatività degli Organismi di composizione della crisi d’impresa, la cui entrata in vigore era stata precedentemente prorogata al 15 febbraio 2021, troveranno concreta applicazione solamente a partire dal mese di settembre 2021.
Ovviamente, vengono fatte salve le previsioni del Codice della crisi attualmente già in vigore, che continueranno ad essere applicate.
Art. 6
(Disposizioni temporanee in materia di riduzione del capitale)
“A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino alla data del 31 dicembre 2020 non si applicano gli articoli 2446, commi secondo e terzo, 2447, 2482 bis, commi quarto, quinto e sesto, e 2482 ter del codice civile. Per lo stesso periodo non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli articoli 2484, n. 4, e 2545 duodecies del codice civile”.
Gli effetti della paralisi dell’attività produttiva di molte imprese, causata dall’emergenza epidemiologica, si ripercuoteranno inevitabilmente nelle finanze delle società, stante la notevole difficoltà nel reperire i mezzi necessari per un adeguato rifinanziamento delle imprese.
Le perdite accumulate in questo intervallo di tempo costringerebbero gli amministratori di società a ricorrere a misure previste dal nostro ordinamento, tra cui l’immediata messa in liquidazione, con perdita della prospettiva di continuità per imprese anche performanti o la riduzione del capitale sociale.
Come noto, l’operazione di riduzione del capitale assicura la corrispondenza tra il capitale sociale ed il patrimonio della società, cosicché, nell’ipotesi di sopravvenuta diminuzione dell’entità del patrimonio sociale, si garantisce, almeno entro certi limiti, l’effettività del capitale indicato.
Il mancato ricorso alla procedura, esporrebbe gli amministratori alla responsabilità per gestione non conservativa ai sensi dell’articolo 2486 del codice civile.
La norma in esame prevede quindi la non applicazione, fino alla data del 31 dicembre 2020, degli articoli del codice civile in materia di riduzione del capitale per perdite e riduzione del capitale sociale al di sotto del limite legale. Per lo stesso periodo non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale.
Art. 7
(Disposizioni temporanee sui principi di redazione del bilancio)
“Nella redazione del bilancio di esercizio in corso al 31 dicembre 2020, la valutazione delle voci nella prospettiva della continuazione dell’attività di cui all’articolo 2423 bis, comma primo, n. 1), del codice civile può comunque essere operata se risulta sussistente nell’ultimo bilancio di esercizio chiuso in data anteriore al 23 febbraio 2020, fatta salva la previsione di cui all’articolo 106 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18. Il criterio di valutazione è specificamente illustrato nella nota informativa anche mediante il richiamo delle risultanze del bilancio precedente.
Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche ai bilanci chiusi entro il 23 febbraio 2020 e non ancora approvati”.
L’art. 2423 bis c.c. fissa i principi di redazione del bilancio di esercizio, i quali assicurano al documento contabile, in modo veritiero e corretto, la situazione patrimoniale e finanziaria della società ed il risultato economico dell’esercizio stesso, così come previsto dall’art. 2423, comma II, c.c.
Tra questi, il principio della prudenza, espressamente citato al n. 1 dell’art. 2423 bis c.c., “si identifica con la regola secondo la quale profitti non conseguiti non devono essere contabilizzati, mentre tutte le perdite anche se non definitivamente realizzate, devono essere riflesse in bilancio” (cfr. Principio contabile dei dottori commercialisti e dei ragionieri n. 11).
Considerati gli effetti della crisi sanitaria, la norma ad esame consentirà alle imprese di redigere e approvare i bilanci, operando la valutazione delle voci secondo il principio della prudenza e nella prospettiva della continuazione dell’attività. In particolare, per evitare la difformità dei criteri, si prevede che la riclassificazione delle voci venga effettuata con riferimento alla situazione esistente al 23 febbraio 2020.
La norma si applica anche ai bilanci chiusi entro il 23 febbraio 2020 e non ancora approvati.
Art. 8
(Disposizioni temporanee in materia di finanziamenti alle società)
“Ai finanziamenti effettuati a favore delle società dalla data di entrata in vigore del presente decreto e sino alla data del 31 dicembre 2020 non si applicano gli articoli 2467 e 2497 quinquies del codice civile”.
La misura in parola è finalizzata ad incentivare il sostegno finanziario alle società – non solo le società a responsabilità limitata ma altresì alle società per azioni, ritenendo la unanime giurisprudenza applicabile l’art. 2467 c.c. a tutte le società di capitali – che stanno attraversando una crisi di liquidità dovuta all’epidemia causata dal Covid-19 e alle misure restrittive adottate per contrastare la diffusione del medesimo virus.
Infatti, contrariamente a quanto accade normalmente, l’eventuale finanziamento che i soci (o coloro che, ai sensi dell’art. 2497 ss. c.c., esercitano attività di direzione e coordinamento) effettueranno, dal giorno 8 aprile 2020 al 31 dicembre 2020, a causa dello stato di difficoltà finanziaria (o degli squilibri da indebitamento), in favore della società, non sarà assoggettato all’obbligo di postergazione rispetto alla soddisfazione degli altri creditori sociali.
In altre parole, i soci non dovranno subordinare – neanche nell’eventualità di una futura procedura concorsuale – il rimborso del proprio credito al rimborso di quello degli altri creditori, dovendo lo stesso essere trattato esattamente allo stesso modo di qualsiasi altro diritto avente le medesime caratteristiche e la medesima natura.
Allo stesso modo, non sarà applicabile l’obbligo di restituzione dei rimborsi di tutti i finanziamenti effettuati dai soci (tra il giorno 8 aprile 2020 e il 31 dicembre 2020) alla società entro un anno dal fallimento laddove questa, anche in ragione della attuale crisi, dovesse essere dichiarata insolvente dall’autorità giudiziaria.
Art. 9
(Disposizioni in materia di concordato preventivo e di accordi di ristrutturazione)
“I termini di adempimento dei concordati preventivi e degli accordi di ristrutturazione omologati aventi scadenza nel periodo tra il 23 febbraio 2020 e il 31 dicembre 2021 sono prorogati di sei mesi.
Nei procedimenti per l’omologazione del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione pendenti alla data del 23 febbraio 2020 il debitore può presentare, sino all’udienza fissata per l’omologa, istanza al tribunale per la concessione di un termine non superiore a novanta giorni per il deposito di un nuovo piano e di una nuova proposta di concordato ai sensi dell’articolo 161 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 o di un nuovo accordo di ristrutturazione ai sensi dell’articolo 182-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267. Il termine decorre dalla data del decreto con cui il Tribunale assegna il termine e non è prorogabile. L’istanza è inammissibile se presentata nell’ambito di un procedimento di concordato preventivo nel corso del quale è già stata tenuta l’adunanza dei creditori ma non sono state raggiunte le maggioranze stabilite dall’articolo 177 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267.
Quando il debitore intende modificare unicamente i termini di adempimento del concordato preventivo o dell’accordo di ristrutturazione deposita sino all’udienza fissata per l’omologa una memoria contenente l’indicazione dei nuovi termini, depositando altresì la documentazione che comprova la necessità della modifica dei termini. Il differimento dei termini non può essere superiore di sei mesi rispetto alle scadenze originarie. Nel procedimento per omologa del concordato preventivo il Tribunale acquisisce il parere del Commissario giudiziale. Il Tribunale, riscontrata la sussistenza dei presupposti di cui agli articoli 180 o 182-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, procede all’omologa, dando espressamente atto delle nuove scadenze.
Il debitore che ha ottenuto la concessione del termine di cui all’articolo 161, comma sesto, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, che sia già stato prorogato dal Tribunale, può, prima della scadenza, presentare istanza per la concessione di una ulteriore proroga sino a novanta giorni, anche nei casi in cui è stato depositato ricorso per la dichiarazione di fallimento. L’istanza indica gli elementi che rendono necessaria la concessione della proroga con specifico riferimento ai fatti sopravvenuti per effetto dell’emergenza epidemiologica COVID-19. Il Tribunale, acquisito il parere del Commissario giudiziale se nominato, concede la proroga quando ritiene che l’istanza si basa su concreti e giustificati motivi. Si applica l’articolo 161, commi settimo e ottavo, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267.
L’istanza di cui al comma 4 può essere presentata dal debitore che ha ottenuto la concessione del termine di cui all’articolo 182-bis, comma settimo, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267. Il Tribunale provvede in camera di consiglio omessi gli adempimenti previsti dall’articolo 182-bis, comma settimo, primo periodo, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 e concede la proroga quando ritiene che l’istanza si basa su concreti e giustificati motivi e che continuano a sussistere i presupposti per pervenire a un accordo di ristrutturazione dei debiti con le maggioranze di cui all’articolo 182-bis, primo comma del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267”.
L’art. 9 d.l. 8 aprile 2020 fornisce sostegno a tutte le imprese che hanno avuto accesso alla procedura di concordato preventivo, sia essa omologata o meno, o che hanno stipulato degli accordi di ristrutturazione dei debiti.
Anzitutto, per i concordati preventivi e gli accordi di ristrutturazione dei debiti già omologati alla data di entrata in vigore del decreto è prevista una generale proroga, di sei mesi, per tutti gli adempimenti che, da piano, hanno una scadenza tra il 23 febbraio 2020 e il 31 dicembre 2021.
Evidenti saranno le ripercussioni dell’attuale crisi epidemiologica in corso, sia per le procedure che prevedono la continuità aziendale – i risultati di esercizio difficilmente potranno essere quelli attesi – che per quelle di carattere meramente liquidatorio – sarà certamente più difficile liquidare i beni di proprietà dell’impresa, vista la generale crisi di liquidità –. Di talché, il Governo, per evitare che queste procedure siano destinatarie di iniziative giudiziali da parte dei creditori, volte ad ottenere la risoluzione, ha previsto una generale proroga dei termini degli adempimenti indicati nei rispettivi piani.
Non è tutto.
Anche per le imprese che hanno presentato il piano e la proposta senza che quest’ultima sia stata approvata – e la procedura, conseguentemente, sia stata omologata – nonché per quelle che si trovano nella fase “prenotativa” (di concordato c.d. in bianco) vi sono importanti novità.
Sarà concesso al debitore, infatti, per tutte le procedure – anche di accordi di ristrutturazione dei debiti – non ancora omologate, presentare al tribunale, sino all’udienza fissata per l’omologa, un’istanza per la concessione di un termine (non superiore a novanta giorni) per il deposito di un nuovo piano e di una nuova proposta di concordato, purché, nel caso in cui si sia già tenuta l’adunanza dei creditori, siano state raggiunte le maggioranze di legge. Peraltro, laddove la modifica della proposta e del piano si esauriscano in una proroga – comunque non superiore a sei mesi – dei termini di pagamento originariamente previsti, sarà sufficiente depositare, prima dell’udienza di omologa, una memoria contenente la richiesta, producendo documentazione che comprovi l’esigenza di modifica.
In ultimo, occorre evidenziare che l’imprenditore che ha depositato in precedenza una c.d. domanda in bianco, ai sensi dell’art. 161, comma 6, r.d. n. 267 del 1942, potrà beneficiare di una ulteriore proroga di novanta giorni – quindi, anche nel caso in cui abbia già ottenuto quella già prevista dalla legge fallimentare – per il deposito di piano e proposta, purché venga specificata la sussistenza di fatti sopravvenuti, per effetto dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, che la rendano necessaria. Al contrario, nulla è previsto circa l’eventuale cumulo delle proroghe nel caso in cui il debitore non abbia ancora usufruito di quella prevista dalla legge fallimentare.
Seppur vadano accolte con favore le predette disposizioni, è doveroso segnalare che nel decreto non vi è alcuna traccia delle procedure da sovraindebitamento – le cc.dd. procedure concorsuali minori –, per le quali egualmente il soggetto istante potrebbe dover fronteggiare rilevanti difficoltà nell’adempimento del piano.
Art. 10.
(Disposizioni temporanee in materia di ricorsi e richieste per la dichiarazione di fallimento e dello stato di insolvenza)
“Tutti i ricorsi ai sensi degli articoli 15 e 195 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 e del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270 depositati nel periodo tra il 9 marzo 2020 ed il 30 giugno 2020 sono improcedibili.
Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano alla richiesta presentata dal pubblico ministero quando nella medesima è fatta domanda di emissione dei provvedimenti di cui all’articolo 15, comma ottavo, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267.
Quando alla dichiarazione di improcedibilità dei ricorsi presentati nel periodo di cui al comma 1 fa seguito la dichiarazione di fallimento, il periodo di cui al comma 1 non viene computato nei termini di cui agli articoli 10 e 69 bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267”.
La disposizione in commento è mossa dall’intento di impedire che venga dichiarato il fallimento di un’impresa che soffra di carenza di liquidità nel particolare periodo storico che stiamo attraversando, a causa delle misure restrittive adottate per impedire l’ulteriore diffusione del Covid-19.
Il Governo prevede un vincolo di improcedibilità per tutti i ricorsi di fallimento – fatti salvi quelli depositati dal pubblico ministero con la contestuale richiesta di emissione di provvedimenti di natura cautelare sul patrimonio dell’imprenditore – depositati dai creditori nel periodo che intercorre tra il 9 marzo 2020 e il 30 giugno 2020.
Il nostro ordinamento, ed in particolate il r.d. 16 marzo 1942, n. 267 – la c.d. legge fallimentare –, effettivamente, non prevede norme che impediscano la declaratoria dello stato di insolvenza e la consequenziale apertura della procedura fallimentare nel caso in cui le difficoltà finanziarie dell’impresa siano imputabili ad eventi esterni temporanei che sfuggono al controllo dell’imprenditore (una sorta di causa di forza maggiore). In questo senso, è da apprezzare lo sforzo dell’esecutivo di introdurre un meccanismo di questo genere.
Non si può non notare che con la previsione di carattere processuale che stabilisce l’improcedibilità dei ricorsi di fallimento presentati nel periodo indicato dalla norma il Governo ha voluto sottrarre all’autorità giudiziaria qualsiasi tipo di verifica sull’eventuale riconducibilità dello stato di insolvenza all’attuale crisi pandemica. E questo, per certi versi, garantisce la certezza del diritto.
Inoltre, per impedire i possibili effetti pregiudizievoli che l’automatismo dell’improcedibilità di qualsiasi istanza per dichiarazione di fallimento avrebbe potuto avere sul diritto di credito (in generale), è stato previsto che il periodo intercorrente tra il 9 marzo 2020 e il 30 giugno 2020 non viene computato per i termini di cui agli artt. 10 – termine entro cui si può dichiarare il fallimento in seguito alla cancellazione dell’impresa dal registro imprese – e 69 – termine di decadenza per l’esercizio di azioni revocatorie – r.d. n. 267 del 1942 nell’ipotesi di fallimento successivo alla dichiarazione di improcedibilità stessa.
Quindi, in buona sostanza, gli imprenditori cancellati dal registro imprese da meno di un anno al 9 marzo 2020 non potranno beneficiare (abusivamente) della decorrenza dell’anno nel periodo tra il 9 marzo 2020 e il 30 giugno 2020.
Art. 11
(Sospensione dei termini di scadenza dei titoli di credito)
“Fermo restando quanto previsto al comma 2 e 3, i termini di scadenza ricadenti o decorrenti nel periodo dal 9 marzo 2020 al 30 aprile 2020, relativi a vaglia cambiari, cambiali e altri titoli di credito emessi prima della data di entrata in vigore del presente decreto, e ad ogni altro atto avente efficacia esecutiva a quella stessa data sono sospesi per lo stesso periodo. La sospensione opera a favore dei debitori e obbligati anche in via di regresso o di garanzia, salva la facoltà degli stessi di rinunciarvi espressamente.
L’assegno presentato al pagamento durante il periodo di sospensione è pagabile nel giorno di presentazione. La sospensione di cui al comma 1 opera su:
- a) i termini per la presentazione al pagamento;
- b) i termini per la levata del protesto o delle constatazioni equivalenti;
- c) i termini previsti all’articolo 9, comma 2, lettere a) e b), della legge 15 dicembre 1990, n. 386, nonché all’articolo 9-bis, comma 2, della medesima legge n. 386 del 1990;
- d) il termine per il pagamento tardivo dell’assegno previsto dall’articolo 8, comma 1, della stessa legge n. 386 del 1990.
I protesti o le constatazioni equivalenti levati dal 9 marzo 2020 fino alla data di entrata in vigore del presente decreto non sono trasmessi dai pubblici ufficiali alle Camere di Commercio; ove già pubblicati le Camere di commercio provvedono d’ufficio alla loro cancellazione. Con riferimento allo stesso periodo sono sospese le informative al Prefetto di cui all’articolo 8-bis, commi 1 e 2, della legge 15 dicembre 1990, n. 386”.
La norma in esame introduce la sospensione dei termini di scadenza dei titoli di credito emessi prima dell’entrata in vigore del decreto.
Quanto agli assegni bancari e postali, si sospende il termine di presentazione al pagamento del titolo a favore del beneficiario.
La norma consente ai beneficiari, di presentare il titolo al pagamento in pendenza della sospensione, che sarà pagabile dal trattario nel giorno di presentazione dello stesso. Tuttavia, nell’ipotesi di difetto di provvista, si applica la sospensione de qua, con conseguente temporanea inapplicabilità del protesto e della disciplina sanzionatoria dell’assegno.