Il cd. Decreto Cura Italia (n. 18, del 17 marzo 2020) prevede che:
– le aziende ammesse per legge alla cassa integrazione ordinaria, che abbiano sospeso o ridotto l’attività per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19, possano ottenere dall’INPS il relativo trattamento di integrazione salariale (art. 19);
– analogamente, le aziende non ammesse alla cassa integrazione guadagni ordinaria, che abbiano più di 5 dipendenti e che siano iscritte al Fondo di Integrazione Salariale dell’INPS (cd. FIS) o ad altri Fondi di Solidarietà, possano ottenere l’erogazione dell’assegno ordinario per la medesima causale (art. 19);
– infine, le aziende per cui non trovino applicazione le tutele previste dalle vigenti disposizioni in materia di sospensione o riduzione di orario, comprese quelle previste ai punti precedenti, possano accedere alla cassa integrazione guadagni in deroga (art. 22).
Per l’accesso ai suddetti ammortizzatori sociali era sufficiente che i dipendenti fossero già in forza all’azienda al 23 febbraio 2020, e ciò in deroga ai più stringenti requisiti di anzianità aziendale previsti dalla disciplina generale in materia.
D’altra parte, l’art. 46 del medesimo decreto ha introdotto un divieto per il datore di lavoro, a partire dal 17 marzo 2020 e per i successivi 60 giorni, di effettuare licenziamenti collettivi e licenziamenti individuali determinati da ragioni di natura economico – organizzativa.
Sulla base del combinato disposto delle norme citate, tuttavia, una categoria di lavoratori dipendenti è venuta di fatto a trovarsi del tutto sprovvista di tutela: quelli assunti a partire dal 24 febbraio 2020.
Costoro, infatti, non potevano accedere agli ammortizzatori sociali, in quanto sprovvisti della (pur minima) anzianità aziendale. Se, poi, sono occupati in aziende la cui attività sia temporaneamente sospesa in virtù dei provvedimenti della pubblica autorità, si configura una situazione potenzialmente idonea ad esonerare il datore di lavoro dall’obbligazione retributiva. E, per completare il quadro, ad oggi sarebbe praticamente impossibile (salvo casi eccezionali) procedere con il licenziamento (per gli assunti a tempo indeterminato) o con la risoluzione ante tempus su iniziativa datoriale (per gli assunti a termine), così togliendo al lavoratore anche l’opportunità, laddove ne abbia per il resto i requisiti, di godere dell’indennità di disoccupazione “ Naspi”.
Il Decreto Liquidità è intervenuto proprio su questo punto. L’art. 41, infatti, prevede espressamente che le disposizioni di cui agli art. 19 e 22 del Decreto Cura Italia “si applicano anche ai lavoratori assunti dal 24 febbraio al 17 marzo 2020” (che, lo ricordiamo, non a caso è la data di entrata in vigore del suddetto Cura Italia).
In forza dell’estensione della portata applicativa delle norme citate, quindi, anche i lavoratori assunti a partire dal 24 febbraio potranno essere destinatari, sussistendo tutti gli altri presupposti, degli ammortizzatori sociali con causale COVID-19 (trattamento di Cassa Integrazione Ordinaria o in Deroga, oppure assegno erogato dal Fondo di Integrazione Salariale dell’INPS o da altri Fondi di Solidarietà). Questo intervento, in concreto, dovrebbe aver risolto il problema da un punto di vista pratico, potendosi considerare altamente improbabile che le aziende abbiano continuato a fare assunzioni anche in data successiva al 17 marzo 2020.
Si segnala, peraltro, che allo stato moltissime aziende hanno già inoltrato le domande di accesso ai suddetti ammortizzatori sociali, o comunque hanno avviato o hanno già concluso le consultazioni coi sindacati, e – evidentemente – tutte le procedure sono state impostate senza tenere conto dei lavoratori assunti a partire dal 23 febbraio. Si pone, quindi, il problema di individuare la modalità procedimentale con cui integrare o rettificare le richieste e le comunicazioni già effettuate, ma sul punto la norma nulla dice e, verosimilmente, occorrerà attendere una circolare o un messaggio chiarificatore da parte dell’INPS o del Ministero del Lavoro, che – si ritiene – non potrà che essere ispirato all’intenzione di agevolare al massimo il ricorso alle misure di sostegno al reddito.
Alla luce del tenore letterale della norma, poi, per questi lavoratori sembra doversi escludere la possibilità di cumulare gli ammortizzatori sociali del Decreto Cura Italia con quelli previsti dal decreto legge n. 9 del 2 marzo del 2020 che, ad esempio, aveva previsto una Cassa Integrazione in Deroga per le aziende e i lavoratori della cd. “zona rossa” (art. 15), nonché per i datori di lavoro con unità produttive in Lombardia, Emilia Romagna e Veneto, limitatamente ai lavoratori ivi residenti o domiciliati (art. 17).
L’art. 41, infine, al comma 4 prevede che le domande di Cassa Integrazione in Deroga, di cui all’art. 22 co. 4 del Decreto Cura Italia, “sono esenti da imposta di bollo”. Si tratta di una precisazione importante, seppure forse non abbastanza tempestiva, posto che molte aziende hanno già presentato la suddetta domanda e, adesso, dovranno attivarsi per richiedere il rimborso dell’imposta di bollo.
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Un ulteriore intervento rilevante dal punto di vista giuslavoristico, all’interno del Decreto Liquidità, si rinviene all’art. 1 co. 2 lett. l) nell’ambito dell’individuazione delle condizioni di erogazione delle garanzie concesse dallo Stato, per il tramite di SACE S.p.a., per l’accesso da parte delle imprese al credito e a finanziamenti sotto qualsiasi forma.
Nello specifico, tra le suddette condizioni l’art. 1 co. 2 lett. l) menziona anche il fatto che “l’impresa che beneficia della garanzia assume l’impegno a gestire i livelli occupazionali attraverso accordi sindacali”.
Si tratta di un’indicazione di contenuto talmente ampio da risultare difficilmente comprensibile, e sicuramente tale da porre seri problemi di coordinamento con le previsioni di legge di contenuto analogo già in vigore. A titolo esemplificativo, si pensi al caso in cui, una volta che il divieto di cui all’art. 46 del Decreto Cura Italia abbia cessato di produrre i suoi effetti, un’azienda decida di aprire una procedura di mobilità per gestire eventuali esuberi e che, all’esito, proceda con un licenziamento collettivo. La normativa in materia regola già l’esame congiunto con le parti sociali e le conseguenze di un accordo con le medesime: deve ritenersi che l’art. 1 co. 2 lett. l) del decreto Cura Italia introduca una nuova conseguenza del mancato accordo con i sindacati, con possibili ripercussioni negative sulla garanzia eventualmente ottenuta ai sensi del medesimo art. 1?
Al momento non è possibile dare indicazioni definitive sul punto. L’art. 1, tuttavia, fa riferimento alla possibilità che il MEF impartisca con decreto a SACE S.p.a. degli indirizzi sulla verifica, al fine dell’escussione della garanzia dello Stato, del rispetto delle condizioni previste dal Decreto Liquidità: si auspica, quindi, che in quella sede vengano fornite maggiori indicazioni di dettaglio.